Slide da Unitelmasapienza Università degli Studi di Roma su Uso legittimo delle armi (art. 53 c.p.). Il Pdf analizza le condizioni che legittimano l'uso delle armi, con focus su resistenza attiva e passiva, includendo un caso di studio dalla Cassazione penale per studenti universitari di Diritto.
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UnitelmaSapienza
Università degli Studi di Roma
Uso legittimo della armi (art. 53 c.p.).
Prof. Vincenzo Mongillo
UnitelmaSapienza.itL'uso legittimo delle armi:
la disposizione
Art. 53 c.p.
«1. Ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti,
non è punibile il pubblico ufficiale, che al fine di adempiere un dovere
del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di un
altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla
necessità di respingere una violenza o di vincere una
resistenza all'autorità e comunque di impedire la consumazione
dei delitti di strage, di naufragio, sommersione, disastro aviatorio, disastro
ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro di
persona».
2. La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente
richiesta dal pubblico ufficiale, gli presti assistenza.
3. La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l'uso delle
armi o di un altro mezzo di coazione fisica»
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La scriminante dell'uso legittimo delle armi è stata configurata come
autonoma causa di giustificazione solo dal codice Rocco:
vigente il cod. Zanardelli, per giustificare l'uso della coazione fisica
da parte dei pubblici ufficiali, si faceva riferimento ora alla legittima
difesa (nella forma del «soccorso difensivo»), ora all'adempimento di
un dovere, ora allo stato di necessità.
La ragione dell'innovazione legislativa è ideologica: il legislatore
fascista intendeva sottolineare la prevalenza del potere di
coercizione statale nelle situazioni che pongono in conflitto i cittadini
e l'autorità. Si volevano così garantire più ampi spazi di impunità ai
p.u. nell'esercizio della forza pubblica. Lo riprova anche la mancata
menzione del requisito della "proporzione". Per questo, la dottrina
afferma che tale c.d.g. va interpretata restrittivamente, in modo
conforme ai principi del nuovo ordinamento democratico delineato
dalla Costituzione.
Il rispetto dei principi costituzionali impone di apporre il requisito
della proporzione anche a questa forma estrema di coercizione dello
stato (MARINUCCI-DOLCINI)
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USO LEGITTIMO DELLE ARMI
AGENTE DELLA FORZA PUBBLICA
Fine di adempiere un dovere del proprio
ufficio
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SITUAZIONE NECESSITANTE
L
VIOLENZA DA
RESPINGERE
O UNA RESISTENZA CHE SI OPPONE
ALL'ADEMPIMENTO DEI DOVERI
DELL'AGENTE DELLA FORZA PUBBLICA E
DUNQUE DA VINCERE
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REAZIONE DEL P.U .: USO DI ARMI O DI
ALTRO STRUMENTO DI COAZIONE
FISICA
PROPORZIONE
(principio di gradualità dei mezzi; beni in
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Lo spazio autonomo di questa scriminante poggia sul
seguente elemento :
"costretto dalla necessità di respingere una violenza
o di vincere una resistenza all'autorità".
Quando può dirsi che il p.u. è stato
«costretto dalla
necessità» ?:
a)il pubblico ufficiale non ha altra scelta, per adempiere ad
un dovere del proprio ufficio, che far uso di un mezzo di
coazione fisica (armi, candelotti lacrimogeni, sfollagente,
cariche in servizi di ordine pubblico, ecc.);
b)quando, tra i vari mezzi a disposizione, il mezzo impiegato
dal pubblico ufficiale non è sostituibile con altro meno
invasivo ugualmente idoneo per adempiere il dovere
d'ufficio (v. Cass., sez. VI, 2 dicembre 2020, n. 35962).
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La violenza deve consistere in una condotta
attiva
tendente
a
frapporre
ostacoli
all'adempimento di un dovere d'ufficio.
Ovviamente, deve trattarsi di un comportamento
violento in "atto", giacché altrimenti mancherebbe
la necessità dell'uso della coazione.
Secondo
parte
della dottrina, mancando
una
differenziazione tra violenza e minaccia nell'art. 53 -
la violenza abbraccerebbe anche la coazione
psichica. Se si ritiene fondata
questa opinione,
dovrebbe almeno trattarsi di una minaccia seria e
particolarmente grave.
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Tradizionalmente si insegna che la resistenza che
legittima l'uso delle armi è quella attiva (e quindi solo
quella che costituisce reato ex art. 337 c.p.), non quella
passiva, in quanto priva di qualsiasi atteggiamento
aggressivo. E resistenza passiva, ad es., quella opposta
dagli
scioperanti distesi sui binari per impedire il
passaggio dei treni o dei manifestanti che costituiscono
un cordone di persone sedute per sbarrare il passaggio
della polizia.
Merita condivisione, però, l'opinione secondo cui tale
tesi,
nella
sua
apparente assolutezza, è erronea
(Padovani): ciò che conta, come per ogni scriminante, è
la proporzione, che in questo caso deve sussistere tra i
mezzi di coazione impiegati e il tipo di resistenza da
vincere da un lato e tra i beni in conflitto dall'altro: così,
ad es., per indurre i suddetti scioperanti ad allontanarsi
si potrà ricorrere a mezzi blandi, non lesivi né della vita
né dell'integrità fisica, come idranti sfollagente o
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Non ricorre la scriminante prevista dall'art. 53 c.p. nel
caso in cui il pubblico ufficiale, al fine di eseguire un
ordine di sgombero di una piazza, ricorra all'uso delle
armi immediatamente dopo aver intimato lo sgombero,
senza lasciare agli intimati il tempo di allontanarsi e
senza aver constatato la loro inottemperanza (Fattispecie
relativa al getto di una bomboletta di gas urticante in
direzione del viso dei destinatari del provvedimento di
sgombero).
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ALT
POLIZIA
010
Caso: un soggetto si sottrae con la fuga ad una
intimazione di un alt da parte della polizia o
all'arresto.
Questione: è legittimo l'uso delle armi in questi
casi?
. La risposta della giurisprudenza tradizionale
è
negativa, salve le eccezioni previste da specifiche
disposizioni di legge, come in materia di contrabbando,
passaggio abusivo delle frontiere, evasione di detenuti.
Ciò in quanto l'art. 53 c.p. richiederebbe che si sia
posta in essere una resistenza attiva (Cass., sez. IV,
sent. n. 9285 del 15-09-1986; Cass. 28 gennaio 1991,
Caporaso, secondo cui la fuga integra una resistenza
passiva).
. Secondo parte della dottrina (Padovani, Fiandaca-
Musco), come già detto, la questione va affrontata da
diversa prospettiva: il problema non è tanto distinguere
tra resistenza attiva o passiva, quanto stabilire quale
reazione possa essere legittimamente opposta.
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Caso: gli occupanti di un veicolo, di cui era poi
stata accertata la provenienza furtiva, avevano
reagito
all'intimazione di alt da
parte di una
pattuglia
di carabinieri tentando di speronare
l'autovettura
di
servizio,
per
pol
darsi a
spericolata fuga per strade urbane, mettendo a
repentaglio l'incolumità dei passanti.
· Un
sottufficiale
dei carabinieri,
nel
corso
dell'inseguimento,
esplodeva
una
raffica
di
mitraglietta che, pur diretta alle ruote del veicolo
inseguito, aveva, per un sobbalzo del veicolo
inseguitore, raggiunto e ferito
uno
dei fuggitivi.
CARABINIERI
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Cassazione penale, sez. IV, 07/06/2000, n. 9961
Ai fini dell'operatività della scriminante dell'uso legittimo delle armi (art.
53 c.p.), non assume rilievo la distinzione tra resistenza attiva e
resistenza passiva, ma il criterio della necessaria proporzione fra i
contrapposti interessi. Nel valutare la proporzione vanno considerate
sia la legittimità dell'uso dell'arma in sé, sia la graduazione di detto uso
fra quelli possibili.
In particolare, quando l'uso dell'arma sia finalizzato a bloccare la fuga
di malviventi, la proporzione dev'essere ritenuta sussistente quando,
per le specifiche modalità con le quali i fuggitivi cercano di sottrarsi alla
cattura,
siano ragionevolmente prospettabili, oltre all'avvenuta
commissione di reati al cui accertamento essi cerchino di sottrarsi, anche
rischi attuali per l'incolumità e la sicurezza di terzi.
Verificandosi tale ipotesi, ed accertata quindi la legittimità dell'uso
dell'arma, nella specifica forma prescelta dal pubblico ufficiale, non può
farsi poi carico a quest'ultimo dell'evento diverso e più grave da lui
prodotto, rispetto a quello preventivato, quando tale evento non sia
riconducibile a negligenza o imperizia, ma all'ineludibile componente di
rischio che l'uso dell'arma in se comporta.
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Cassazione, sez. IV, 3 aprile 2008, n. 13944
Caso: un sottufficiale di polizia, sportosi al finestrino
della macchina di servizio, aveva fatto fuoco sulla
cabina di guida di un veicolo commerciale in fuga,
appena usato per compiere una rapina, uccidendo
il guidatore,
La Cassazione, pur ravvisando l'eccesso colposo
(art.
55
c.p.)
nella
condotta
dell'agente
(di
conseguenza, condannato pertanto a due anni di
reclusione per omicidio colposo), ha confermato la
decisione dei giudici di merito secondo cui era
applicabile, nel caso di specie, l'art. 53 c.p.
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