Storia dell'Arte 2: la mostra Post Human e l'arte contemporanea

Documento dall'Accademia del Lusso su Storia dell'Arte 2. Il Pdf, di livello universitario e materia Arte, analizza la mostra "Post Human" del 1992, esplorando il concetto di post-umanità e le sue rappresentazioni artistiche attraverso opere di Matthew Barney, Damien Hirst e Jake & Dinos Chapman.

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Storia dell’Arte 2
Chiara Canali
Lezione 9
LA MOSTRA “POST HUMAN” (1992)
Post Human (1992-93) è la grande mostra itinerante curata da Jeffrey Deitch, che segna
l’atto di nascita nei territori dell’arte e della speculazione estetica, di una questione che già
da tempo rinfocola il dibattito filosofico, etico, scientifico e bio-politico, delineando ambiti e
territori di un movimento di pensiero destinato a diventare una tendenza eterogenea, più
che uno stile o un movimento. Un particolare modo di sentire in linea con una precisa
“corrente di gusto” che attraversa i processi di transculturazione di ibridazione in atto.
La mostra è accolta dalla critica e dalle riviste specializzate con pareri discordanti.
Deitch nel saggio in catalogo affronta una serie di problemi ad ampio raggio: “l’evoluzione
del genere umano sta inaugurando una nuova fase che Charles Darwin mai avrebbe
ipotizzato”, poiché i progressi scientifici e la società contribuiscono ormai a ridefinire i
confini dell’individuo al punto che “reinventare se stessi sia un fatto assolutamente normale”
anche a costo di una frattura tra sé e corpo. Assunto fondamentale è che “l’era moderna
potrebbe essere definita come il periodo della scoperta dell’io. L’era postmoderna nella
quale viviamo può essere intesa come un periodo transitorio di disintegrazione dell’io. Forse
l’era post-umana che comincia a intravvedersi all'orizzonte sarà caratterizzata dalla
ricostituzione dell'io”. Secondo questa interpretazione saremmo dunque ancora pienamente
inseriti in una cornice di dissoluzione del moderno, anzi pienamente post-moderna,
vivremmo una complessa e imprevedibile transizione che lascia soltanto presagire l’avvento
di un futuribile post-umano che potrebbe prefigurarsi come dominio privilegiato dello spazio
cibernetico e dell’ingegneria genetica. Tuttavia, prospettando quello che l’essere umano
riuscirà a fare prossimamente con l’avvento delle tecnologie Deitch si avvicina nei toni ad
alcune teorie care ai transumanisti (“i nostri figli potrebbero essere i rappresentanti
dell’ultima generazione di esseri geneticamente ‘normali’ ”). Nell’intera disanima è dato
peso alla crescente importanza di informatica, biotecnologia e media elettronici che “hanno
riorganizzato il mondo in un tipo di struttura simultanea a tempo reale che accelera il corso
degli avvicendamenti sociali”.
Tra i segni precorritori di una sensibilità già postumana, Deitch inserisce una rinnovata
attenzione verso il corpo, complici i miti del piccolo schermo e gli ospiti dei talk-show che
impongono nuovi miti e conseguentemente ai nuovi canoni estetici, dettati oggi da dietetica,
body building e chirurgia estetica; la popolarità del sesso telefonico che preannuncia
l’avvento del sesso virtuale; l’Otaku, una nuova sensibilità sviluppatasi in Giappone, frutto
della propensione nipponica a rapportarsi alle macchine più che agli esseri umani.
La condizione postumana viene raffigurata attraverso immagini e installazioni, quale
connessione all’alterità, narrata per vie metamorfiche che assumono differenti viraggi, come
il teriomorfo, l’asessuato, il macchinico, il cyborg, indagata nei suoi prospetti sociali,
antropologici, esistenziali attraverso proiezioni e immedesimazioni, anche da chi la
considera solo prossima ventura.
Per quanto riguarda la ricaduta del post-human sulle arti visive, tornando alla mostra
Jeffrey Deitch parte dall’assunto che per “ogni profondo mutamento del contesto sociale i
grandi artisti hanno riflesso e altresì hanno favorito l’assimilazione da parte della società
delle conseguenti trasformazioni in campo tecnologico, politico e ovviamente sociale”.
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Riprendiamo alcune frasi particolarmente significative tratte da un’intervista rilasciata dallo
stesso Deitch nel 2008 a GiancarloPoliti e Helena Kontova, apparsa sul sito della rivista
Flash Art:
Un percorso diacronico che illustra le ragioni della rappresentazione ricollegandosi al
rinnovato interesse per il corpo, a una nuova figurazione, più concettuale che formale: “la
nuova arte figurativa sta emergendo attraverso il canale dell’arte concettuale, della Body Art
e delle performances che hanno scandito gli ultimi anni Sessanta e i primi anni Settanta”.
E ancora, ribadisce Deitch sempre nell’intervista a Flash Art: “la nuova arte figurativa si
inserisce nella tradizione dell’arte concettuale, nella tradizione dei Vito Acconci e dei Bruce
Nauman piuttosto che in quella dei Duane Hanson o Roy Lichtestein […] nell’arte in genere, i
migliori esempi di nuove tendenze racchiudono una vasta tradizione storica che viene
ridefinita nel contesto del pensiero contemporaneo”. Deitch riconosce quindi una filiazione
da quelle poetiche che utilizzavano il corpo come soggetto/oggetto della rappresentazione
riassorbite in una generica “nuova figurazione” che focalizza la propria attenzione su
tematiche legate all’identità, al sesso, alla mutazione, segnando qualcosa di completamente
diverso dalla figurazione classica: “questa nuova arte figurativa può effettivamente segnare
la fine del Realismo anziché il suo revival”.
È interessante inoltre notare come Post Human rappresenti uno dei primi esempi di mostra
in cui le opere d’arte - molte provenienti dalla collezione del collezionista greco Dakis
Joannou - vengano scelte per illustrare, insieme a immagini di tabloid patinati di riviste
scientifiche, un preciso progetto curatoriale con la volontà di “incominciare a guardare come
queste nuove tecnologie e questi nuovi atteggiamenti sociali possano intersecarsi con
l’arte”.
Una serie di opere sono inquadrabili nel sottotitolo implicito alla mostra: “verso nuove forme
di figurazione”, verso una figurabilità citazionista (Jeff Koons, Clegg&Guttmann, Wim
Delvoye), standardizzata (Stephan Balkenol, Thomas Ruff), alienata (Martin
Kippenberg, Pia Stadtbäumer, Fischli/Weiss, Charles Ray), grottesca (Paul Mc
Carthy), benché si attestino ancora su una estetica di prelievo e ribaltamento ancora
iscritta nella cornice del moderno.
Il nocciolo duro della mostra si riduceva ad artisti come Cindy Sherman, presente con
alcune dei suoi più famosi Untitled che attestano la virata dell’artista, a inizio degli anni
novanta, verso la fascinazione dell’inorganico, un libero assembramento di corpi, un modus
operandi che torna nella versione ironicamente pop di Christian Marclay, frutto del libero
assemblage di copertine di dischi. Matthew Barney con Radiant Drill, un lavoro
antecedente la monumentale saga di Cremaster, Martin Honert i cui Choir Boys sembrano
la trasposizione tridimensionale di Aziz+Cucher; Yasumasa Morimura con Brothers (A
Late Autumn Prayer), rivisitazione apocalittica da possibile e mai auspicabile day after del
celebre Angelus di Millet e Robert Gober, da sempre esponente di una poetica del
frammento e il suo contraltare ironico, rappresentato da New Members for the Burghers of
Calais di George Lappas e da Pastel di Annette Lemieux.
MATTHEW BARNEY
Ex giocatore di football, ex-modello cresciuto a Boise (Idaho), Matthew Barney scopre
l’arte attraverso la madre. La sua intenzione di studiare medicina cambia appena approda a
Yale: si laurea in arte nel’ 89. Due anni dopo incontra a New York Barbara Gladstone, una
delle più potenti galleriste al mondo, che si innamora del lavoro, ne fa un “suo” artista,
sostenendo anche la produzione dei suoi costosissimi ed elaboratissimi video e trasformando
la figura di Matthew Barney in un autentico fenomeno mediatico.
Genio visionario e prolifico inventore di metafore, regista, performer e compagno della
cantante islandese Bjork, l'artista americano ha saputo creare un ricchissimo universo di
immagini con molteplici riferimenti e allusioni. Matthew Barney ha saputo creare attorno a

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ACCADEMIA DEL LUSSO

LA MOSTRA "POST HUMAN" (1992)

Post Human (1992-93) è la grande mostra itinerante curata da Jeffrey Deitch, che segna l'atto di nascita nei territori dell'arte e della speculazione estetica, di una questione che già da tempo rinfocola il dibattito filosofico, etico, scientifico e bio-politico, delineando ambiti e territori di un movimento di pensiero destinato a diventare una tendenza eterogenea, più che uno stile o un movimento. Un particolare modo di sentire in linea con una precisa "corrente di gusto" che attraversa i processi di transculturazione di ibridazione in atto. La mostra è accolta dalla critica e dalle riviste specializzate con pareri discordanti. Deitch nel saggio in catalogo affronta una serie di problemi ad ampio raggio: "l'evoluzione del genere umano sta inaugurando una nuova fase che Charles Darwin mai avrebbe ipotizzato", poiché i progressi scientifici e la società contribuiscono ormai a ridefinire i confini dell'individuo al punto che "reinventare se stessi sia un fatto assolutamente normale" anche a costo di una frattura tra se e corpo. Assunto fondamentale è che "l'era moderna potrebbe essere definita come il periodo della scoperta dell'io. L'era postmoderna nella quale viviamo può essere intesa come un periodo transitorio di disintegrazione dell'io. Forse l'era post-umana che comincia a intravvedersi all'orizzonte sarà caratterizzata dalla ricostituzione dell'io". Secondo questa interpretazione saremmo dunque ancora pienamente inseriti in una cornice di dissoluzione del moderno, anzi pienamente post-moderna, vivremmo una complessa e imprevedibile transizione che lascia soltanto presagire l'avvento di un futuribile post-umano che potrebbe prefigurarsi come dominio privilegiato dello spazio cibernetico e dell'ingegneria genetica. Tuttavia, prospettando quello che l'essere umano riuscirà a fare prossimamente con l'avvento delle tecnologie Deitch si avvicina nei toni ad alcune teorie care ai transumanisti ("i nostri figli potrebbero essere i rappresentanti dell'ultima generazione di esseri geneticamente 'normali' "). Nell'intera disanima è dato peso alla crescente importanza di informatica, biotecnologia e media elettronici che "hanno riorganizzato il mondo in un tipo di struttura simultanea a tempo reale che accelera il corso degli avvicendamenti sociali".

Tra i segni precorritori di una sensibilità già postumana, Deitch inserisce una rinnovata attenzione verso il corpo, complici i miti del piccolo schermo e gli ospiti dei talk-show che impongono nuovi miti e conseguentemente ai nuovi canoni estetici, dettati oggi da dietetica, body building e chirurgia estetica; la popolarità del sesso telefonico che preannuncia l'avvento del sesso virtuale; l'Otaku, una nuova sensibilità sviluppatasi in Giappone, frutto della propensione nipponica a rapportarsi alle macchine più che agli esseri umani. La condizione postumana viene raffigurata attraverso immagini e installazioni, quale connessione all'alterità, narrata per vie metamorfiche che assumono differenti viraggi, come il teriomorfo, l'asessuato, il macchinico, il cyborg, indagata nei suoi prospetti sociali, antropologici, esistenziali attraverso proiezioni e immedesimazioni, anche da chi la considera solo prossima ventura.

Per quanto riguarda la ricaduta del post-human sulle arti visive, tornando alla mostra Jeffrey Deitch parte dall'assunto che per "ogni profondo mutamento del contesto sociale i grandi artisti hanno riflesso e altresì hanno favorito l'assimilazione da parte della società delle conseguenti trasformazioni in campo tecnologico, politico e ovviamente sociale".

1ACCADEMIA DEL LUSSO

Riprendiamo alcune frasi particolarmente significative tratte da un'intervista rilasciata dallo stesso Deitch nel 2008 a Giancarlo Politi e Helena Kontova, apparsa sul sito della rivista Flash Art:

Un percorso diacronico che illustra le ragioni della rappresentazione ricollegandosi al rinnovato interesse per il corpo, a una nuova figurazione, più concettuale che formale: "la nuova arte figurativa sta emergendo attraverso il canale dell'arte concettuale, della Body Art e delle performances che hanno scandito gli ultimi anni Sessanta e i primi anni Settanta". E ancora, ribadisce Deitch sempre nell'intervista a Flash Art: "la nuova arte figurativa si inserisce nella tradizione dell'arte concettuale, nella tradizione dei Vito Acconci e dei Bruce Nauman piuttosto che in quella dei Duane Hanson o Roy Lichtestein [ ... ] nell'arte in genere, i migliori esempi di nuove tendenze racchiudono una vasta tradizione storica che viene ridefinita nel contesto del pensiero contemporaneo". Deitch riconosce quindi una filiazione da quelle poetiche che utilizzavano il corpo come soggetto/oggetto della rappresentazione riassorbite in una generica "nuova figurazione" che focalizza la propria attenzione su tematiche legate all'identità, al sesso, alla mutazione, segnando qualcosa di completamente diverso dalla figurazione classica: "questa nuova arte figurativa può effettivamente segnare la fine del Realismo anziché il suo revival".

È interessante inoltre notare come Post Human rappresenti uno dei primi esempi di mostra in cui le opere d'arte - molte provenienti dalla collezione del collezionista greco Dakis Joannou - vengano scelte per illustrare, insieme a immagini di tabloid patinati di riviste scientifiche, un preciso progetto curatoriale con la volontà di "incominciare a guardare come queste nuove tecnologie e questi nuovi atteggiamenti sociali possano intersecarsi con l'arte".

Una serie di opere sono inquadrabili nel sottotitolo implicito alla mostra: "verso nuove forme di figurazione", verso una figurabilità citazionista (Jeff Koons, Clegg&Guttmann, Wim Delvoye), standardizzata (Stephan Balkenol, Thomas Ruff), alienata (Martin Kippenberg, Pia Stadtbäumer, Fischli/Weiss, Charles Ray), grottesca (Paul Mc Carthy), benché si attestino ancora su una estetica di prelievo e ribaltamento ancora iscritta nella cornice del moderno.

Il nocciolo duro della mostra si riduceva ad artisti come Cindy Sherman, presente con alcune dei suoi più famosi Untitled che attestano la virata dell'artista, a inizio degli anni novanta, verso la fascinazione dell'inorganico, un libero assembramento di corpi, un modus operandi che torna nella versione ironicamente pop di Christian Marclay, frutto del libero assemblage di copertine di dischi. Matthew Barney con Radiant Drill, un lavoro antecedente la monumentale saga di Cremaster, Martin Honert i cui Choir Boys sembrano la trasposizione tridimensionale di Aziz+Cucher; Yasumasa Morimura con Brothers (A Late Autumn Prayer), rivisitazione apocalittica da possibile e mai auspicabile day after del celebre Angelus di Millet e Robert Gober, da sempre esponente di una poetica del frammento e il suo contraltare ironico, rappresentato da New Members for the Burghers of Calais di George Lappas e da Pastel di Annette Lemieux.

MATTHEW BARNEY

Ex giocatore di football, ex-modello cresciuto a Boise (Idaho), Matthew Barney scopre l'arte attraverso la madre. La sua intenzione di studiare medicina cambia appena approda a Yale: si laurea in arte nel' 89. Due anni dopo incontra a New York Barbara Gladstone, una delle più potenti galleriste al mondo, che si innamora del lavoro, ne fa un "suo" artista, sostenendo anche la produzione dei suoi costosissimi ed elaboratissimi video e trasformando la figura di Matthew Barney in un autentico fenomeno mediatico.

Genio visionario e prolifico inventore di metafore, regista, performer e compagno della cantante islandese Bjork, l'artista americano ha saputo creare un ricchissimo universo di immagini con molteplici riferimenti e allusioni. Matthew Barney ha saputo creare attorno a

2ACCADEMIA DEL LUSSO

sé un alone di generale curiosità che a ben vedere non si riscontrava dai tempi di Andy Warhol.

Matthew Barney rappresenta, nel panorama internazionale, una figura di artista originale, che attraversa diversi ambiti culturali, creando un linguaggio artistico trasversale e unico nel suo genere. Il suo lavoro concettuale ed estetico mescola frammenti di tutte le mitologie prodotte nella storia dell'umanità, passando da quelle più classiche e antiche, alle più anomale e sconosciute, fino a quelle contemporanee e bizzarre, dando vita a una nuova grande cosmogonia, onnivora e ibrida.

Dagli inizi degli anni Novanta Barney ha elaborato una propria mitologia visionaria, con una serie di film, l'epopea di Cremaster, e diventando in un decennio vero e proprio oggetto di culto. I suoi film sono debordanti video d'arte che toccano diversi generi, e nella cui lunga elaborazione intervengono le altre Arti. Infatti dai suoi film nascono opere di fotografia, architettura, design, scultura, moda, che diventano poi autonome.

Il Cremaster Cycle, la saga epica del "muscolo testicolare" (questa è la nota traduzione del termine) è suddiviso in cinque episodi che Barney ha voluto però non rispettassero l'uscita della loro progressione numerica, ma seguissero invece il seguente ordine: Cremaster 4 (1994), Cremaster 1 (1995), Cremaster 5 (1997), Cremaster 2 (1999), Cremaster 3 (2002). Certo non casualmente, la sequenza numerica 4-1-5-2-3 contiene un'evidente simmetria costruita attorno al numero cinque in posizione centrale, che risulta anche dalla somma delle coppie numeriche alla sua destra e sinistra. Ma il gioco delle combinazioni può ancora continuare e costruire piramidi o serie di coppie oppositive sempre sulla base del numero cinque, che oltretutto corrisponde alla classica pentapartizione in atti delle antiche tragedie greche.

Come una grande metafora genitale, ma priva di intenzionalità sessuale, la saga Cremaster risolve il suo racconto esclusivamente su base biologico-organica, e ad un livello di visionarietà allegorica corrispondono sempre riferimenti scientifici da trattato di andrologia. Non c'è traccia di erotismo o di sensualità, pur esplicitando sistematicamente questioni genital-cromosomiche che proiettano un universo ermafrodita, senza repulsioni per liquidi organici, orifizi e corpi cavernosi di qualsiasi natura.

Rimossi i simboli fallici e tutte le allusioni ad un livello di eroticità, Barney si concentra sulle alchimie scrotali, sulle oscure meccaniche di un muscolo involontario, il muscolo crimasterico, che agendo sulle contrazioni testicolari (avvicina le gonadi al corpo in base alla necessità di alzare la temperatura basale per la produzione di sperma), funziona da interruttore generale del meccanismo riproduttivo, e per questo scelto da Barney come elemento principe della sua opera video, vera cosmogonia genitale sui processi di affermazione sessuale.

  1. In Cremaster 4, il primo episodio della serie, Matthew Barney enunciava i suoi precetti estetici, ed il gioco delle sue identità si articolava fra quella di un satiro-ballerino di tip-tap e la pecora Loughton, curioso animale a 4 corna, che realmente pascola sulle alture dell'isola di Man (set del video), dove testimonia di antiche leggende celtiche sulla sua natura divina. Buone parte del film è occupata dal parallelo fra due ambienti interno/esterno entro cui si esprime la tensione di forze antagoniste nella loro ricerca di dominio finale. Anche i faticosi avanzamenti di Barney all'interno di uno stretto tunnel di sostanze organiche o la singolare sfida tra due sidecar giallo-blu altro non sono che le visionarie traduzioni di un codice andrologico, che in questo modo visualizza la perigliosa lotta fra gameti verso la conquista dell'equilibrio ormonale.
  2. In Cremaster 1, pur ruotando sugli stessi temi, Barney sceglie una partitura da musical anni '40, ambientata però in uno stadio di football, le cui coreografie di danza vengono affidate alla curiosa stocastica di un lancio di chicchi d'uva o di perle ad opera di una modella-demiurgo, all'interno in un ambiente fetale bianco-monocromo.
  3. In Cremaster 5 a fare da quinta scenografica è la città di Budapest, che diede i natali al mago Houdini, deuteragonista ricorrente nei video di Barney in qualità di creatura sovrumana, degna di una posizione nel multiforme Olimpo dell'artista, in cui si trovano affiancati indistintamente: divinità celtiche e miti greci, emblemi della cultura popolare, campioni dello sport e icone dello star system. Altri set di questo film sono il ponte sul

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