Documento da "Storia della Chiesa" (4) di Giacomo Martina sulla questione romana post-1870. Il Pdf, utile per studenti universitari di Religione, approfondisce l'età leonina, il riavvicinamento Stato-Chiesa e il significato della Rerum Novarum, esplorando anche il modernismo.
Mostra di più33 pagine


Visualizza gratis il Pdf completo
Registrati per accedere all’intero documento e trasformarlo con l’AI.
Completiamo l'esposizione della questione romana nel periodo 1870-1919. Distinguiamo due periodi: l'ultimo trentennio dell'Ottocento, 1870-1900, e il primo ventennio del Novecento, 1900-1919. Nel primo periodo (pontificato di Leone XIII, 1878-1903) la tensione fra S. Sede e il governo italiano si inasprisce sempre più. Nel secondo periodo (pontificati di Pio X, 1903-1914, e Benedetto XV, 1914-1922) le relazioni si fanno meno tese, ci si avvicina ad una soluzione positiva. Il cambiamento è dovuto a un complesso di fattori, fra cui il timore circa il forte progresso del socialismo: i liberali pensano sia impossibile combattere su due fronti, e assumono un atteggiamento più conciliante verso l'ala moderata dei cattolici, che abbandona le pregiudiziali temporalistiche e si preoccupa della conservazione delle strutture tradizionali della società.
Abbiamo un forte incremento dell'anticlericalismo, dovuto alla questione romana e alla diffusione del positivismo che presenta la scienza come incompatibile con la fede. L'anticlericalismo della «destra», che aveva il potere sino al 1876, si era manifestato nelle misure legislative, quello di «sinistra» si rivelò in parate e clamori, specie in occasione della festa del 20 settembre (breccia di Porta Pia), che assunse un chiaro significato antipapale e anticattolico. Il governo italiano lasciò indisturbate queste manifestazioni di piazza. Fra gli episodi più noti, l'assalto alla salma di Pio IX durante il suo trasporto notturno verso la basilica di San Lorenzo fuori le mura nel 1881. Un giornalista radicale, Alberto Mario, approva l'aggressione alla "carogna" del pontefice "parricida, pagliaccio". Nel 1888 il presidente del consiglio Crispi impose le dimissioni al sindaco di Roma, Torlonia, reo di aver presentato al card. Vicario gli auguri della cittadinanza romana per il giubileo di Leone XIII. Nel 1889 l'erezione del monumento a Giordano Bruno è accompagnata da cortei massonici e da manifestazioni anticlericali. La massoneria assume un'importanza decisiva nella vita politica, contribuendo ad avvelenare i rapporti con la Chiesa. Molte autorità hanno dato la loro adesione alla massoneria, essa ha praticamente in mano le leve di comando.
Sulla questione romana, le posizioni restavano immutate. I liberali sostenevano che la legge delle guarentigie aveva risolto il problema (confronta con il vol. III), che il pontefice era del tutto libero nel suo ministero pastorale: dimenticavano le frequenti offese recate al papa, il crescente sforzo di laicizzazione, gli intralci frapposti alle nomine vescovili, e interpretavano le proteste del papa contro quelli che egli chiamava abusi intollerabili. I cattolici fedeli alle direttive vaticane rispondevano che un pontefice privo di sovranità è e resta suddito di un'altra autorità, e non può considerarsi indipendente. Gli eventuali privilegi dipendono di diritto e di fatto dall'arbitrio di un'altra autorità, quindi possono essere revocati. Il papa pretendeva la restituzione dell'intera città di Roma. Se i liberali non ammettevano la possibilità di una sovranità territoriale, Leone XIII fino alla sua morte, continuò a considerare impossibile la coesistenza dei due poteri in una sola città, contraria alla natura stessa della S. Sede. 1Altre osservazioni su Leone XIII: il papa apparirebbe infeudato ad una dinastia, ospite di un potere estraneo, e la sua azione riuscirebbe meno grata e forse sospetta. Il ristabilimento del potere temporale era un postulato irrinunziabile.
Continuava la direttiva vaticana di astenersi delle elezioni politiche (non expedit). L'astensione solo più tardi fu sanzionata dall'alto. Nel 1866 il Vaticano dichiarò che i cattolici eletti deputati potevano prestare il giuramento di fedeltà allo Stato, solo aggiungendo la clausola "salve le leggi divine ed ecclesiastiche": significava rendere impossibile ai cattolici accettare l'elezione. Un passo ulteriore venne fatto dopo la presa di Roma, quando nel 1871 e nel 1874 la Penitenzieria dichiarò che "non conveniva" (non expedit) ai cattolici dare il loro voto nelle elezioni, date tutte le circostanze. Restava lecita la partecipazione alle elezioni amministrative. Il non expedit si sollevò gradualmente ad una questione di principio: protesta ideale contro la politica dei fatti compiuti, preoccupazione di mantenere il movimento cattolico nella sua purezza originaria. Il non expedit contribuì a far diminuire la percentuale dei votanti, più al Nord che al Sud, e ad aumentare il distacco fra lo Stato italiano e le masse. I cattolici non si fermarono ad un'inerte e passiva attesa degli avvenimenti. I cattolici intransigenti si raccolsero in un movimento di opposizione al di fuori del parlamento, per influire sulla vita italiana. Nacquero le organizzazioni cattoliche su scala nazionale, raccolte attorno all'Opera dei congressi e comitati cattolici, sorta nel 1874, svolse un'attività intesa con le sue varie sezioni. Fu sciolta da Pio X nel 1904.
L'astensione sollevava forti discussioni fra intransigenti e moderati, finendo per spaccare in due i cattolici. In Italia si intrecciavano le discussioni sulla questione romana e sul rosminianesimo. Nel 1885 uscì un opuscolo anonimo, Intransigenti e transigenti, sostanzialmente opera di Leone XIII stesso. L'«Osservatore Cattolico» si scagliò contro l'opuscolo, Roma non mosse un dito. Il papa si serviva dei suoi fedelissimi per saggiare le relazioni dell'opinione pubblica. L'episodio nel determinare la politica vaticana. Data l'impossibilità di una restituzione del potere temporale, la Chiesa doveva adattarsi ai tempi: una conciliazione era possibile. Solo così si poteva evitare l'apostasia della maggior parte dell'Italia. Non mancarono dei tentativi di conciliazione: fallì sul nascere il tentativo di un partito cattolico, dei "conservatori nazionali", fatto subito dopo l'avvento di Leone XIII. Un discorso di papa Leone in cui si parlava del "funesto dissidio" aprì gli animi alle speranze, che il presidente del consiglio Crispi replicò sullo stesso tono conciliante. P. Tosti pubblicò la conciliazione, proponendo una soluzione fondata sulla rinunzia della S. Sede ad ogni sovranità territoriale. Tutto rovinò, quando Crispi rispose a un'interpellanza in parlamento, che l'Italina non domandava conciliazioni, provocando la presa di posizione di Leone. Al fallimento non fu estranea la massoneria, ma è dovuto soprattutto all'opposizione delle due parti. L'insuccesso servì solo a rafforzare l'anticlericalismo di piazza.
La situazione mutò in seguito alle affermazioni socialiste, favorite dall'allargamento del suffragio in Italia, e dalla nuova presa di coscienza delle classi operaie. I socialisti dettero saggio della loro forza nei moti di Milano del 1898, repressi dall'esercito, e nell'ondata di scioperi che dilagò in Italia nei primi anni del nuovo secolo, culminati con lo sciopero generale del 1904. Una parte degli intransigenti si sentiva vicina alle aspirazioni del socialismo, altri, conciliatoristi come intransigenti, davanti all'avanzata socialista restarono atterriti, e accolsero le proposte di collaborazione dei liberali moderati, realizzate nel campo amministrativo, con le coalizioni che ricevettero il nome di «clerico-moderate», e sottrassero ai radicali vari comuni. L'alleanza e il successo che ne conseguì fu salutato con gioia da alcuni vescovi, fra cui il patriarca di Venezia, Giuseppe Sarto (poi Pio X), ma i cattolici più sensibili alle oggettive necessità delle classi meno 2abbienti temettero che l'apertura a destra provocasse unOinvoluzione del movimento cattolico. Il tentativo era favorito dal nuovo presidente del consiglio, Giovanni Giolitti, che cercava di accettare i postulati più urgenti e invitandole ad una collaborazione o a un appoggio dall'esterno al governo.
La politica giolittiana riuscì parzialmente con i socialisti, ebbe ampi sviluppi coi cattolici. Nel 1904 Pio X permise a voce ad alcuni cattolici di presentarsi come candidati alle elezioni. L'anno dopo, l'enciclica il fermo proposito, pur confermando in teoria il non expedit, permetteva delle eccezioni, che si moltiplicarono fino a costituire la regola pratica. Vari cattolici entravano così in parlamento (cattolici deputati, sì; deputati cattolici, no). Nel 1913 il patto Gentiloni segnò il trionfo del clerico-moderatismo. I cattolici dettero il loro voto ai candidati liberali che avevano aderito ad alcuni pinti (libertà della scuola, opposizione al divorzio). Il patto fu vivamente criticato da altri, soprattutto in Sicilia; si notava l'assenza di ogni preoccupazione sociale nel programma, si criticava la segretezza con cui i candidati liberali avevano dato il loro impegno, si protestava perché i cattolici si riducevano a fare da sostegno a un ordine ormai invecchiato. I cattolici cominciavano a far sentire il loro peso nella vita politica. Erano abbandonate le richieste di carattere territoriale tali da creare difficoltà allo Stato italiano. La questione romana si riduceva alla ricerca di condizioni giuridiche che assicurassero al papa un'indipendenza effettiva e palese.
Scoppiata la guerra, il card. Gasparri, segretario di Stato di Benedetto XV, dichiarò che la S. Sede «attende(va) la sistemazione conveniente della situazione non dalle armi straniere, ma dal trionfo dei sentimenti di giustizia del popolo italiano». Durante la guerra, nel 1916, un cattolico, Filippo Meda, entrò nel governo, sia pure a titolo personale. Finito il conflitto, nel gennaio 1919, un sacerdote italiano, Luigi Sturzo, con l'appoggio di laici come Alcide De Gasperi e Filippo Meda, e la previa anche se non ufficiale autorizzazione della S. Sede, fondò un partito politico, il partito popolare. Si realizzava in Italia quella linea già in atto in Germani dalla metà dell'Ottocento con il Centro, on Olanda nel 1878, in Belgio e in Austria due anni dopo con il «partito conservare» e il «partito cristiano sociale». I cattolici italiani tornavano ad essere cittadini pleno iure e avevano un forte peso in parlamento. Il Partito popolare si presentava come aconfessionale, non dipendente cioè dalla gerarchia, e aperto a quanti ne condividessero il programma. Superava le posizioni estreme dell'intransigenza, con una visione puramente negativa e strumentale dello Stato, considerato come braccio secolare della Chiesa. Superava anche il clerico-moderatismo, rifiutava cioè di essere una versione cristiana delle idee liberali, respingeva gli adattamenti e i compromessi, e proponeva un programma originale. Il programma del partito propugnava la libertà di coscienza, ma anche profonde riforme di struttura, e audaci riforme sociali. Nel novembre 1919 la Penitenzieria abrogava ufficialmente il non expedit (in realtà morto da tempo). Alle nuove elezioni, oltre cento deputati cattolici entravano al parlamento. Con l'enciclica Pacem Dei Munus (1920) Benedetto XV revocò le severe prescrizioni vigenti per la visita a Roma di sovrani e capi di Stato esteri, una delle poche disposizioni che avevano creato seri imbarazzi al governo italiano. Pio XI (1922-1939) subito dopo l'elezione, il 6 febbraio 1922, per la prima volta dopo il 20 settembre 1870 impartì la solenne benedizione sulla piazza San Pietro dalla loggia della basilica. La conciliazione era stata raggiunta: la partecipazione dei cattolici alla guerra e alla vita politica aveva smorzato i dissidi di un tempo. Occorreva un passo, per raggiungere una soluzione sul piano giuridico. Ai vecchi uomini politici la legge delle guarentigie sembrava il trionfo della sapienza giuridica, ogni accordo bilaterale sembrava una ferita al separatismo, un tradimento del vecchio Stato liberale. 3