Cultura Visuale di Andrea Pinotti e Antonio Somaini: analisi e teorie

Documento dall'Università su Cultura Visuale di Andrea Pinotti e Antonio Somaini. Il Pdf esplora il concetto di cultura visuale, analizzando le teorie di vari studiosi e il ruolo delle immagini nella storia, nella politica e nella società, con un focus sui "visual culture studies" e la "Bildwissenschaft".

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CULTURA VISUALE DI ANDREA PINOTTI E ANTONIO SOMAINI
Capitolo 1: Un campo di studi transdisciplinare
* Jean Epstein: teorizzò come il cinema fosse una macchina in grado di ripensare la realtà
secondo la sua capacità di registrare il movimento e restituirlo come immagine animata e
in virtù di ciò, il cinema ha influenzato la cultura e il clima mentale di un'epoca, agendo
sulla memoria e sull'immaginazione di un pubblico per la prima volta esposto alla visione
di un mondo dinamico, fluido, in movimento, relativo, variabile. Con il termine cultura,
Epstein indicava quei modi di pensare più semplici e comuni che insieme creano il clima
mentale. Il movimento del cinema non è solo fisico, ma anche psichico, cioè il movimento
delle emozioni, diametralmente opposto all'astrattezza dei concetti e della logica; la cultura
cinematografica rende più visivo il pensiero e meno «parlato», che fornisce una
conoscenza rapida e concreta delle emozioni
> Bela Balazs: la cultura visuale era fondata dalla vittoria dell'immagine sulla parola, prima
proprietaria del primato, in un ritorno a una concezione precedente alla parola.
Quest'ultima si è imposta in maniera così forte da aver portato a trascurare il resto dei
mezzi di comunicazione. Il cinema è una nuova facoltà percettiva e tecnica del vedere e
del mostrare, in grado di riportarci le cose in maniera simultanea, come le une accanto alle
altre. Il cinema non va attraversato, come le parole, ma è arte della superficie, dove lo
spettatore si trova in immediata prossimità con le cose.
La distanza viene annullata, perché la cinepresa ci accompagna dentro alle cose. La
realtà non è più filtrata attraverso concetti e parole, ma grazie al cinema ci riavviciniamo
alle cose; il cinema è una nuova Weltanschauung, che esprime la tensione verso
un'esperienza immediata, non-verbale e non-concettuale. Il cinema produce una forma di
immediatezza, cioè permette di mostrare una penetrazione nello spirito della materia
quotidiana. L'uomo rappresentato sullo schermo si esibisce con mimica e gesti che sono
universali e completi, che non hanno bisogno di spiegazioni.
Nella gestualità, il corpo diventa medium sensibile dell'anima.
* Laszlo Moholy-Nagy: utilizzò i termini cultura ottica e cultura della visione, per definire
come cinema e fotografia stessero trasformando il visibile, portando alla luce fenomeni
prima inaccessibili all'occhio umano. I media ottici si distinguono in un uso riproduttivo e un
uso produttivo; quest'ultimo, secondo lui, è in grado di modificare il campo visivo. La luce,
soprattutto artificiale, era un medium di espressione plastica, che poteva essere
organizzata artificialmente nello spazio attraverso diverse forme di configurazione ottica.
Con queste forme, si dava vita ad una cultura della luce, la quale avrebbe permesso di
ristrutturare il campo visivo con nuovi fenomeni e nuove forme. L'uomo doveva essere
sottoposto ad una educazione dello sguardo per essere in grado di adattarsi a questa
cultura ottica, sviluppando una nuova visione. Questa nuova visione è sganciata da
pregiudizi, associazioni e inferenze di norma associate all'esperienza umana.
Michael Baxandall: tra gli anni '70-'80, volle dimostrare come ci fosse una correlazione tra
lo stile pittorico di una cultura e società e le capacità visive che si sviluppano nella vita
quotidiana in quella determinata società. Tali capacità visive si formano grazie
all'esperienza quotidiana nei suoi diversi aspetti; considerato ciò, le immagini non si
possono considerare autonome al contesto esperienziale in cui si collocano. Il compito
dello storico è dunque quello di collegare le immagini e lo stile pittorico al più ampio
contesto delle forme di vita, abitudini percettivi e schemi mentali che insieme costituiscono
lo stile cognitivo. L'attenzione qui non è rivolta al presente, bensi al passato, ma questo
discorso si deve applicare a tutti i periodi storici. E possibile distinguere due dimensioni del
vedere:!
visione fisiologica: è una visione a-storica ed invariabile
visione psicologico-cognitiva: varia da individuo a individuo e storicamente
Le nostre abitudini percettive e stile conoscitivo dipendono in parte da noi e in parte dalla
società.
- Svetlana Alpers: spiegando come la pittura olandese del Seicento fosse una descrizione
minuziosa del visibile, quasi come una fotografia, Alpers introduce il concetto di visual
culture riprendendolo da Baxandall. L'arte olandese va dunque analizzata partendo dal
contesto culturale e sociale in cui si colloca e viene prodotta; si tratta di studiare una
cultura visuale olandese, non storia dell'arte olandese. Nella società olandese, l'occhio era
il mezzo fondamentale di autorappresentazione, mentre l'esperienza visiva era
fondamentale per l'autocoscienza.
* La direzione della visual culture: seguendo il pensiero di entrambi questi studiosi, il loro
intento sembra quello di orientare la storia dell'arte verso una storia culturale delle
immagini e dello sguardo, anche se l'oggetto di studio principale sembrano essere sempre
le immagini artistiche.
› Visual culture studies e Bildwissenschaft: sono i nomi di due campi di ricerca
transdisciplinari. Sono nati come reazione ai cambiamenti nell'iconosfera avvenuti intorno
agli anni '90; il termine iconosfera indica la sfera costituita dall'insieme delle immagini che
circolano in un determinato contesto culturale, dalle tecnologie con cui vengono prodotte e
dagli usi sociali di tali immagini. Internet ha contribuito in diversi modi al bombardamento
delle immagini in questo periodo, inoltre ha permesso la diffusione di immagini prima
sconosciute; anche i media hanno contribuito alla pesante diffusione di immagini. Tale
diffusione ha determinato un crescente interesse per il ruolo del visivo e della visione
all'interno di discipline che tradizionalmente non hanno considerato le immagini come un
principale oggetto di studio, ad esempio l'antropologia o la geografia. Visual culture studies
e Bildwissenschaft hanno tentato di ricondurre a un terreno comune questo interesse per il
significato culturale delle immagini e della visione.
Visual culture studies: soprattutto di stampo angloamericano, hanno cercato di integrare
prospettive di ricerca capaci di evidenziare la complessità dei processi culturali, oltre alla
natura storica, politica, sociale e affettiva di ogni forma di produzione o ricezione di
immagini. I culture studies, fondati negli anni '50, hanno mostrato la complessità e
conflittualità nel produrre e ricevere ogni produzione simbolica. Valori, significati e
simbologie sono instabili, perché risultato di una serie di forme di codificazione e
decodificazione. I culture studies hanno trasmesso ai VCS l'attenzione per la dimensione
politica della ricerca accademica e la tendenza a discutere i canoni precostituiti, come ad
esempio la distinzione tra cultura alta e bassa. I feminist studies hanno evidenziato come
lo sguardo delle immagini sia sempre di natura affettiva e sessuale. I postcolonial studies,
invece, hanno mostrato la natura culturalmente, socialmente e politicamente determinata
delle rappresentazione che il mondo occidentale si è dato delle altre culture. Questi tre
studi hanno in comune il fatto di aver tramandato ai VCS l'idea che il ruolo culturale delle
immagini e lo statuto dello spettatore sono dinamici e conflittuali, non univoci e universali.
Bisogna re-pluralizzare lo sguardo, cioè prestare attenzione alle pluralità e differenze delle
posizioni spettatoriali in un determinato contesto culturale.
> La Bildwissenschaft: affonda le sue radici nell'interesse della storia dell'arte tedesca al
ruolo epistemico della fotografia, quindi non si pone nei suoi confronti con un
atteggiamento di rottura, ma ha con essa un forte legame. Uno dei fondatori è stato
Gottfried Boehm, che individuò la logica delle immagini come obiettivo di questo campo di
studi. Le immagini, soprattutto artistiche, sono in grado di produrre senso con mezzi
propriamente visivi, cioè mezzi che non sono strutturati sul modello predicativo o binario
(falso vs vero) come la lingua, ma sono radicati nell'indeterminatezza del sensibile. Questo
ha determinato il cosiddetto iconic turn, che si oppose al linguistic turn innescatosi con la
filosofia analitica del linguaggio e la tendenza semiotica a considerare quadri e film come
testi da leggere. Con iconic turn, si intende un progetto di ricerca sulla logica specifica
delle immagini e sul loro ruolo nella costituzione del sapere. L'immagine mette in evidenza

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CULTURA VISUALE DI ANDREA PINOTTI E ANTONIO SOMAINI

Capitolo 1: Un campo di studi transdisciplinare

  • Jean Epstein: teorizzò come il cinema fosse una macchina in grado di ripensare la realtà secondo la sua capacità di registrare il movimento e restituirlo come immagine animata e in virtù di ciò, il cinema ha influenzato la cultura e il clima mentale di un'epoca, agendo sulla memoria e sull'immaginazione di un pubblico per la prima volta esposto alla visione di un mondo dinamico, fluido, in movimento, relativo, variabile. Con il termine cultura, Epstein indicava quei modi di pensare più semplici e comuni che insieme creano il clima mentale. Il movimento del cinema non è solo fisico, ma anche psichico, cioè il movimento delle emozioni, diametralmente opposto all'astrattezza dei concetti e della logica; la cultura cinematografica rende più visivo il pensiero e meno «parlato», che fornisce una conoscenza rapida e concreta delle emozioni

> Bela Balazs: la cultura visuale era fondata dalla vittoria dell'immagine sulla parola, prima proprietaria del primato, in un ritorno a una concezione precedente alla parola. Quest'ultima si è imposta in maniera così forte da aver portato a trascurare il resto dei mezzi di comunicazione. Il cinema è una nuova facoltà percettiva e tecnica del vedere e del mostrare, in grado di riportarci le cose in maniera simultanea, come le une accanto alle altre. Il cinema non va attraversato, come le parole, ma è arte della superficie, dove lo spettatore si trova in immediata prossimità con le cose. La distanza viene annullata, perché la cinepresa ci accompagna dentro alle cose. La realtà non è più filtrata attraverso concetti e parole, ma grazie al cinema ci riavviciniamo alle cose; il cinema è una nuova Weltanschauung, che esprime la tensione verso un'esperienza immediata, non-verbale e non-concettuale. Il cinema produce una forma di immediatezza, cioè permette di mostrare una penetrazione nello spirito della materia quotidiana. L'uomo rappresentato sullo schermo si esibisce con mimica e gesti che sono universali e completi, che non hanno bisogno di spiegazioni. Nella gestualità, il corpo diventa medium sensibile dell'anima.

  • Laszlo Moholy-Nagy: utilizzò i termini cultura ottica e cultura della visione, per definire come cinema e fotografia stessero trasformando il visibile, portando alla luce fenomeni prima inaccessibili all'occhio umano. I media ottici si distinguono in un uso riproduttivo e un uso produttivo; quest'ultimo, secondo lui, è in grado di modificare il campo visivo. La luce, soprattutto artificiale, era un medium di espressione plastica, che poteva essere organizzata artificialmente nello spazio attraverso diverse forme di configurazione ottica. Con queste forme, si dava vita ad una cultura della luce, la quale avrebbe permesso di ristrutturare il campo visivo con nuovi fenomeni e nuove forme. L'uomo doveva essere sottoposto ad una educazione dello sguardo per essere in grado di adattarsi a questa cultura ottica, sviluppando una nuova visione. Questa nuova visione è sganciata da pregiudizi, associazioni e inferenze di norma associate all'esperienza umana.

Michael Baxandall e la correlazione tra stile pittorico e capacità visive

Michael Baxandall: tra gli anni '70-'80, volle dimostrare come ci fosse una correlazione tra lo stile pittorico di una cultura e società e le capacità visive che si sviluppano nella vita quotidiana in quella determinata società. Tali capacità visive si formano grazie all'esperienza quotidiana nei suoi diversi aspetti; considerato ciò, le immagini non si possono considerare autonome al contesto esperienziale in cui si collocano. Il compito dello storico è dunque quello di collegare le immagini e lo stile pittorico al più ampio contesto delle forme di vita, abitudini percettivi e schemi mentali che insieme costituiscono lo stile cognitivo. L'attenzione qui non è rivolta al presente, bensi al passato, ma questo discorso si deve applicare a tutti i periodi storici. E possibile distinguere due dimensioni del vedere:

  • visione fisiologica: è una visione a-storica ed invariabile
  • visione psicologico-cognitiva: varia da individuo a individuo e storicamente

Le nostre abitudini percettive e stile conoscitivo dipendono in parte da noi e in parte dalla società.

  • Svetlana Alpers: spiegando come la pittura olandese del Seicento fosse una descrizione minuziosa del visibile, quasi come una fotografia, Alpers introduce il concetto di visual culture riprendendolo da Baxandall. L'arte olandese va dunque analizzata partendo dal contesto culturale e sociale in cui si colloca e viene prodotta; si tratta di studiare una cultura visuale olandese, non storia dell'arte olandese. Nella società olandese, l'occhio era il mezzo fondamentale di autorappresentazione, mentre l'esperienza visiva era fondamentale per l'autocoscienza.
  • La direzione della visual culture: seguendo il pensiero di entrambi questi studiosi, il loro intento sembra quello di orientare la storia dell'arte verso una storia culturale delle immagini e dello sguardo, anche se l'oggetto di studio principale sembrano essere sempre le immagini artistiche.

Visual culture studies e Bildwissenschaft: campi di ricerca transdisciplinari

> Visual culture studies e Bildwissenschaft: sono i nomi di due campi di ricerca transdisciplinari. Sono nati come reazione ai cambiamenti nell'iconosfera avvenuti intorno agli anni '90; il termine iconosfera indica la sfera costituita dall'insieme delle immagini che circolano in un determinato contesto culturale, dalle tecnologie con cui vengono prodotte e dagli usi sociali di tali immagini. Internet ha contribuito in diversi modi al bombardamento delle immagini in questo periodo, inoltre ha permesso la diffusione di immagini prima sconosciute; anche i media hanno contribuito alla pesante diffusione di immagini. Tale diffusione ha determinato un crescente interesse per il ruolo del visivo e della visione all'interno di discipline che tradizionalmente non hanno considerato le immagini come un principale oggetto di studio, ad esempio l'antropologia o la geografia. Visual culture studies e Bildwissenschaft hanno tentato di ricondurre a un terreno comune questo interesse per il significato culturale delle immagini e della visione.

Visual culture studies: prospettive e influenze

Visual culture studies: soprattutto di stampo angloamericano, hanno cercato di integrare prospettive di ricerca capaci di evidenziare la complessità dei processi culturali, oltre alla natura storica, politica, sociale e affettiva di ogni forma di produzione o ricezione di immagini. I culture studies, fondati negli anni '50, hanno mostrato la complessità e conflittualità nel produrre e ricevere ogni produzione simbolica. Valori, significati e simbologie sono instabili, perché risultato di una serie di forme di codificazione e decodificazione. I culture studies hanno trasmesso ai VCS l'attenzione per la dimensione politica della ricerca accademica e la tendenza a discutere i canoni precostituiti, come ad esempio la distinzione tra cultura alta e bassa. I feminist studies hanno evidenziato come lo sguardo delle immagini sia sempre di natura affettiva e sessuale. I postcolonial studies, invece, hanno mostrato la natura culturalmente, socialmente e politicamente determinata delle rappresentazione che il mondo occidentale si è dato delle altre culture. Questi tre studi hanno in comune il fatto di aver tramandato ai VCS l'idea che il ruolo culturale delle immagini e lo statuto dello spettatore sono dinamici e conflittuali, non univoci e universali. Bisogna re-pluralizzare lo sguardo, cioè prestare attenzione alle pluralità e differenze delle posizioni spettatoriali in un determinato contesto culturale.

La Bildwissenschaft: radici e obiettivi

> La Bildwissenschaft: affonda le sue radici nell'interesse della storia dell'arte tedesca al ruolo epistemico della fotografia, quindi non si pone nei suoi confronti con un atteggiamento di rottura, ma ha con essa un forte legame. Uno dei fondatori è stato Gottfried Boehm, che individuò la logica delle immagini come obiettivo di questo campo di studi. Le immagini, soprattutto artistiche, sono in grado di produrre senso con mezzi propriamente visivi, cioè mezzi che non sono strutturati sul modello predicativo o binario (falso vs vero) come la lingua, ma sono radicati nell'indeterminatezza del sensibile. Questo ha determinato il cosiddetto iconic turn, che si oppose al linguistic turn innescatosi con la filosofia analitica del linguaggio e la tendenza semiotica a considerare quadri e film come testi da leggere. Con iconic turn, si intende un progetto di ricerca sulla logica specifica delle immagini e sul loro ruolo nella costituzione del sapere. L'immagine mette in evidenzauna differenza iconica, un contrasto che le permette di emergere da ciò che la circonda e proporsi come entità capace di produrre senso attraverso il mostrare. È necessario comprendere autonomamente la logica non-linguistica e non-testuale con cui le immagini producono senso e sapere. E importante anche studiare le condizioni tecnico-materiali che definiscono la presenza dell'immagine, le quali non sono configurazioni immateriali; in questo senso l'iconic turn è anche un medial turn, che si interroga sulle diverse forme di mediazione tecnico-materiale di ogni forma di esperienza e conoscenza. Un versante della iconic turn si è quindi concentrato sulle tecniche e i materiali alla base delle forme di visualizzazione e produzione, che permettono alle immagini di esercitare funzioni culturali essenziali come documentazione, archiviazione, registrazione ecc .; ciò rende le immagini parte della Kulturtechniken, quelle tecniche che aiutano a costituire il tessuto connettivo di una cultura. Nella prospettiva di una teoria culturologica delle immagini, è necessario anche concentrarsi sulle tracce lasciate dalle immagini cioè da ciò che esisteva prima delle immagini e che ha poi subito un processo di configurazione in forma di immagine, analizzando come ciò che non era immagine è poi diventato immagine.

Criteri di delimitazione della Bildwissenschaft

Anche se è un ambito molto ampio, il campo della Bildwissenschaft può venire delimitato da tre criteri:

  • materialità: esclude le immagini verbali
  • artificialità: distingue dalle immagini naturali
  • persistenza: esclude fenomeni passeggeri

Differenze tra VCS e Bildwissenschaft

  • Differenze tra VCS e Bildwissenschaft: Visual cultural studies Bildwissenschaft Si interessano alla dimensione sociale, culturale politica Studio del ruolo epistemico e conoscitivo delle immagini Interesse per la cultura popolare e contemporaneità Componente storica molto presente Ricerca accademica come strumento di azione politica per svelare ideologie e identità latenti

Presupposti, oggetti e strumenti degli studi sulla cultura visuale

-* Presupposti, oggetti, strumenti degli studi sulla cultura visuale: studiare la cultura visuale significa concentrarsi sulla dimensione culturale, quindi costruita, delle immagini e della visione. Con il termine cultura, si intende l'insieme vasto ed eterogeneo degli oggetti, pratiche, tecniche, identità ecc. che caratterizzano un qualunque contesto storico. Qualsiasi tipo d'immagine può essere soggetto di analisi, ma deve essere culturalmente rilevante; successivamente, è necessario prendere in analisi le condizioni tecniche e mediali che consentono la visualizzazione e la trasmissione e gli usi sociali di cui sono oggetto. Bisogna analizzare inoltre il tessuto di intenzioni, desideri, credenze e azioni che circonda ogni immagine. La visione, invece, deve essere considerata come tecnicamente, socialmente e storicamente situata, cioè come un atto prospettico, proiettato da un punto di vista concreto e rivolto a oggetti e fenomeni che si dispongono nel campo visivo. Questi oggetti e fenomeni non devono essere per forza immagini perché la cultura visuale si rivolge alle pratiche del vedere; è la possibilità che un oggetto possa essere visto che stabilisce se un artefatto può essere considerato nella prospettiva degli studi sulla cultura visuale. È necessario mostrare il vedere nelle sue declinazioni. La storicità della visione va intesa come storicità delle tecnologie ottiche, dei dispositivi che inquadrano il nostro rapporto con le immagini e le dinamiche culturali e sociali che accompagnano l'atto di guardare ed essere guardati. Mitchell ha definito la cultura visuale come costruzione visiva

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