Documento da eCampus Università su Azorín: vita, opere e critica letteraria. Il Pdf, utile per studenti universitari di Letteratura, analizza le caratteristiche stilistiche di Azorín, la sua ricerca della sostanza della vita attraverso il dettaglio e l'attualizzazione delle opere classiche.
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Lettere
José Martínez Ruiz (Azorín)
José Martínez Ruiz (1873-1966), meglio noto con il soprannome di Azorín,
nacque a Monóvar (Alicante) in una famiglia benestante e conservatrice; dopo
aver studiato presso gli scolopi, studiò Giurisprudenza all'università di Valencia
(dove conobbe il krausismo), quindi a Granada, Salamanca e Madrid, dove in un
primo momento si dedicò a battaglie politiche e letterarie, mostrando un
atteggiamento fortemente polemico. Inizialmente usò "Cándido" come
pseudonimo, in onore di Voltaire, ma la collaborazione con il giornale ABC lo
portò ad abbandonare la vita bohemién e le sue stravaganze (come il monocolo e
l'ombrello rosso), e a scegliere Azorín come pseudonimo, nome che aveva dato
lui stesso al protagonista di alcuni suoi romanzi, come a voler rimarcare
l'intreccio tra vita e letteratura. Arrivò a ricoprire anche incarichi di governo, ma
poi, dopo aver appoggiato la rivolta militare del 1936, si trasferì in Francia;
tornato in patria nel 1939, pur favorevole al regime franchista se ne resta in
disparte a Madrid, dove muore nel 1966.
Secondo Azorín l'obiettivo principale dell'artista è percepire la sostanza
della vita, per cui il tentativo dell'autore sarà quello di arrivare a questa
percezione tramite il dettaglio; con termini non molto diversi da quelli con cui
abbiamo definito la intrahistoria di Unamuno, anche secondo Azorín il segreto
della vita non sta tanto nei grandi fatti storici quanto nelle piccole cose, nella
quotidianità; quello che lo distingue da una postura realista, però, è il fatto che
egli non cerchi una mera enumerazione quantitativa di dati, bensì si concentra
su poche cose, cercando però di farcene cogliere il loro significato profondo.
La sua si potrebbe quindi definire una tecnica impressionista alla ricerca della
sensazione, attraverso la quale ci trasmette la realtà spirituale delle cose.
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Caratteristiche della scrittura di Azorín sono la semplicità, la chiarezza e
la precisione; il suo scopo era quello di creare un linguaggio chiaro, in cui la
vuota sonorità degli autori ottocenteschi lasciasse spazio a una maggiore
intimità ed esattezza, giungendo così a padroneggiare uno stile estremamente
fluido e trasparente, pur non del tutto esente da un leggero artificio. Come
abbiamo visto anche per Jiménez, per Azorín l'eleganza sta nella semplicità, e la
sua sintassi, in effetti, non potrebbe essere più semplice: predominano nella sua
prosa le proposizioni coordinate e le giustapposte, evitando il più possibile la
subordinazione; anche il lessico è relativamente semplice, ma è ricchissimo e
abbonda tanto di neologismi quanto di termini arcaici, che l'autore sceglie con
grandissima sensibilità.
Pur essendo innanzitutto un artista, Azorín rivela nella sua opera anche
preoccupazioni di tipo intellettuale o morale. Per quanto riguarda la situazione
spagnola, egli non differisce molto dagli altri intellettuali del periodo: in un
primo momento attacca la tradizione, ma lasciati gli atteggiamenti polemici
inizia il suo grande sforzo per comprendere e valorizzare il passato
nazionale, pur senza pretendere di tagliare completamente i ponti con l'Europa.
Per quanto riguarda la questione morale, invece, il suo atteggiamento sembra
essere quello di un affettuoso scetticismo, che gli fa vedere come valori
supremi la bontà, la comprensione, la tolleranza; crede nel progresso, ma non in
quello materiale, bensì in quello spirituale. Dal punto di vista del concetto del
tempo, Azorín cercò sempre di capire il senso della fugacità delle cose, per cui
la sua opera è impregnata di una certa nostalgia, con il ricordo malinconico di
cose andate per sempre; se però gli uomini passano, è altrettanto vero che esiste
una realtà universale che è immutabile, ed è proprio questa realtà universale
che Azorín cerca nei dettagli della vita quotidiana, dettagli che si ripetono giorno
dopo giorno nel tempo, assicurando, appunto, questa immutabilità.
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Il primo testo pubblicato da Azorín fu il Diario de un enfermo [Diario di
un malato] (1901), dove la sua scrittura si avvicina al simbolismo decadente; il
malato è un aspirante suicida deluso dall'incompatibilità tra la propria vitalità
intellettuale e la monotonia della vita quotidiana; l'eco di Nietzsche e Schopenhauer
si percepisce anche in La voluntad [La volontà] (1902), Antonio Azorín (1903) e
Las confesiones de un pequeño filósofo [Le confessioni di un piccolo filosofo]
(1904), che hanno come protagonista, appunto, il filosofo Antonio Azorín.
La biografia del protagonista riflette, seppur in modo volutamente non
lineare, la formazione dell'intellettuale e il suo conflitto con la realtà; ne La voluntad
il conflitto che trovavamo nel Diario viene trasferito in ambiente rurale ed esasperato
nello scontro tra Antonio Azorín e la realtà in cui vive, che egli percepisce come
stagnante, insensibile, quasi disumana. Caratteristico di questi romanzi è la quasi
totale assenza di trama, la cui frammentarietà è giustificata dal fatto che anche la
vita non ha uno sviluppo lineare.
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Come abbiamo già rilevato, però, è percepibile in questi romanzi la grande
attenzione di Azorin al dettaglio, che acquisisce ora però sfumature finemente
liriche nella descrizione di ambienti, dei tipi o del paesaggio.
La propensione dell'autore al saggio si percepisce anche in testi che
appartengono al genere del romanzo, ma che sembrano avvicinarsi molto alla critica
letteraria, testi in cui tre miti della letteratura spagnola vengono rivisitati in chiave
narrativa: Tomás Rueda (1915), Don Juan (1922) e Doña Inés (1925); in Don
Juan la trama è pressoché assente, in quanto l'opera si centra nella descrizione di un
villaggio castigliano, e l'allusione al mito del don Giovanni fatta nel prologo e
nell'epilogo rimane del tutto vaga; anche in Doña Ines la trama ha poco a che
vedere con la dama innamorata di don Juan, e sembra anticipare nei modi (tramite
sdoppiamenti cronologici e spaziali) i romanzi successivi, in cui Azorín sperimenta
nuove forme di scrittura che si avvicinano all'avanguardia, vale a dire Felix Vargas
(1928), Superrealismo (1929) e Pueblo (1930).
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In questa fase avanguardista, la sperimentazione di Azorín si basa ora su
vaghe affinità con il surrealismo (anche se il libro che porta questo titolo, in realtà,
ben poco ha a che vedere con il movimento), e sull'allontanamento dalla realtà per
mezzo dell'indisciplina narrativa, che nel suo ricercato disordine cerca di
rispecchiare la visione di una realtà informe e mutevole, che si diluisce nelle cose.
Questa sperimentazione di Azorín si concretizza, all'interno dei romanzi,
nella già ricordata cura del linguaggio e nella ricerca di un godimento artistico
depurato, che giunge ad una essenzialità quasi schematica della sua prosa che,
abbiamo già detto, risulta così estremamente concisa, semplice, dal ritmo quasi
schematico; anche la grande ricchezza lessicale dei primi romanzi ora si contrae,
fino ad ottenere un lessico purista; in questo l'autore sembra rifarsi all'idea di Ortega
y Gasset di un'arte che sia «disumanizzata».
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Molto interessante la postura di Azorín per quanto riguarda la critica
letteraria; lui stesso ci dice che non sa se ha fatto critica, in quanto quello che ha
cercato di fare è esprimere l'impressione che in lui aveva suscitato la lettura di
un'opera d'arte; proprio questa postura potrebbe spiegare alcune sue incongruenze,
come il fatto di attaccare in un primo momento il Duque de Rivas, la picaresca e il
teatro del Siglo de oro, salvo poi rivalutarli successivamente ed elogiarli.
Il suo lavoro critico è stato importante per almeno tre motivi:
- ha dimostrato come avvicinarsi ad un'opera d'arte «per piacere» sia in realtà più
produttivo che farlo «con propositi eruditi»;
- ha messo in risalto quanto possa essere fallace una critica basata su valori
estetici immutabili;
- grazie ad esso migliaia di lettori hanno riscoperto i grandi classici della letteratura
spagnola.
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I commenti critici di Azorín tendono soprattutto a sottolineare lo spirito,
l'ambientazione dell'opera, l'atmosfera nella quale l'autore ha espresso la sua intima
personalità; pur sostenendo l'indipendenza della letteratura dalla storia e dalle
contingenze biografiche degli autori, ecco allora che evoca l'epoca in cui questi
vissero, ne interpreta le intenzioni e ne studia le idee; soprattutto, cerca sempre di
attualizzarne il messaggio, di mettere in risalto gli aspetti che ancora possono
risvegliare la sensibilità del lettore per fargli percepire quale potesse essere il
messaggio originale, il tutto sempre espresso con una prosa estremamente lirica e
al contempo precisa e pulita, e con la consueta attenzione ai dettagli che abbiamo
già riscontrato nella sua opera; possiamo vederlo in un suo commento su Manrique:
«¿Cómo podremos expresar la impresión que nos produce el son remoto de un
piano en que se toca un nocturno de Chopin ... , las finas ropas de una mujer a quien
hemos amado y que ha desaparecido para siempre? [ ... ] Todos aquellos momentos
tan deliciosos de nuestra vida, ¿qué fueron sino rocíos de los prados?»
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