La sofferenza psichica e la malattia mentale: cause e fattori psicologici

Documento di Università sulla sofferenza psichica e la malattia mentale. Il Pdf esplora il concetto di sofferenza psichica e malattia mentale, analizzando le sue cause biologiche e psicologiche, con una panoramica dettagliata sull'argomento per la materia Psicologia.

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La sofferenza psichica
Ad alcuni di voi sarà capitato di confrontarvi con lopinione diffusa secondo cui le
persone che soffrono di depressione hanno semplicemente un carattere debole; o con
lidea che gli ansiosi siano esagerati, gli schizofrenici pazzi e gli autistici abbiano
doti eccezionali.
In realtà, dietro questi stereotipi piuttosto superficiali si celano persone con grandi
sofferenze interiori, che un buon operatore dei servizi socio-sanitari deve imparare a
cogliere e a riconoscere affinché il suo intervento possa essere sia professionale, sia in
sintonia con lo stato danimo dellutente.
Ecco perché abbiamo scelto di parlare di sofferenza psichica, per avvicinarci ai
malati mentali e alla loro reale condizione di sofferenza, che non sempre è riconosciuta,
compresa e considerata nella giusta misura.
In questo capitolo cercheremo di capire che cosa si intende per malattia mentale,
come attualmente si classificano i diversi disturbi psichiatrici e quali di essi
loperatore socio-sanitario avrà maggiore possibilità di incontrare nel suo percorso
professionale.
La malattia mentale
Il concetto di malattia mentale viene spesso associato allimmagine di una persona che
esce dalla normalità, che è pericolosa o che perde la testa.
Definire la malattia mentale non è affatto semplice in quanto essa fa riferimento a
qualcosa di poco concreto: i suoi sintomi infatti non sono immediatamente rivelabili
come, ad esempio, una reazione allergica o uno stato febbrile.
Ciò che risulta alterato, in una condizione di malattia mentale, sono le funzioni della
mente, ma, essendo questa invisibile, diventa difficile comprendere appieno le sue
manifestazioni patologiche.
Di seguito cercheremo di capire che cosè la malattia mentale, sottolineando come lo
stesso concetto di normalità non sia di facile definizione; vedremo comè cambiata la
concezione della malattia mentale nella storia, attraverso lanalisi di alcune tappe
importanti, come laffermarsi del movimento dellantipsichiatria e lemanazione della
legge Basaglia, che hanno avuto il merito di riportare lattenzione dalla malattia al
malato, cioè allindividuo con i suoi bisogni e le sue difficoltà.

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Anteprima

La sofferenza psichica

Ad alcuni di voi sarà capitato di confrontarvi con l'opinione diffusa secondo cui le persone che soffrono di depressione hanno semplicemente un carattere "debole"; o con l'idea che gli ansiosi siano "esagerati", gli schizofrenici "pazzi" e gli autistici abbiano "doti eccezionali". In realtà, dietro questi stereotipi piuttosto superficiali si celano persone con grandi sofferenze interiori, che un buon operatore dei servizi socio-sanitari deve imparare a cogliere e a riconoscere affinché il suo intervento possa essere sia professionale, sia in sintonia con lo stato d'animo dell'utente. Ecco perché abbiamo scelto di parlare di "sofferenza psichica", per avvicinarci ai malati mentali e alla loro reale condizione di sofferenza, che non sempre è riconosciuta, compresa e considerata nella giusta misura. In questo capitolo cercheremo di capire che cosa si intende per malattia mentale, come attualmente si classificano i diversi disturbi psichiatrici e quali di essi l'operatore socio-sanitario avrà maggiore possibilità di incontrare nel suo percorso professionale.

La malattia mentale

Il concetto di malattia mentale viene spesso associato all'immagine di una persona "che esce dalla normalità", "che è pericolosa" o "che perde la testa". Definire la malattia mentale non è affatto semplice in quanto essa fa riferimento a qualcosa di poco concreto: i suoi sintomi infatti non sono immediatamente rivelabili come, ad esempio, una reazione allergica o uno stato febbrile. Ciò che risulta alterato, in una condizione di malattia mentale, sono le funzioni della mente, ma, essendo questa invisibile, diventa difficile comprendere appieno le sue manifestazioni patologiche. Di seguito cercheremo di capire che cos'è la malattia mentale, sottolineando come lo stesso concetto di normalità non sia di facile definizione; vedremo com'è cambiata la concezione della malattia mentale nella storia, attraverso l'analisi di alcune tappe importanti, come l'affermarsi del movimento dell'antipsichiatria e l'emanazione della legge Basaglia, che hanno avuto il merito di riportare l'attenzione dalla malattia al malato, cioè all'individuo con i suoi bisogni e le sue difficoltà.

Normalità e patologia

Non è facile stabilire con precisione ciò che è normale e ciò che è patologico: il confine tra queste due condizioni è piuttosto labile e di difficile definizione. Grazie anche al contributo del neurologo e psicoanalista austriaco Sigmund Freud, giustamente considerato il fondatore di un nuovo approccio allo studio dei disturbi mentali, ci siamo abituati a pensare che la distinzione tra normalità e anormalità sia meno netta di quanto possa sembrare. Gli studi di psichiatria e la pratica clinica hanno infatti rivelato che il pensiero "normale" e quello disturbato vi è continuità, come si può osservare in una persona globalmente sana di mente i cui occasionali comportamenti nevrotici di tipo compulsivo, ossessivo o ansioso non sono indice di malattia, ma hanno piuttosto un significato di adattamento alla realtà, non razionale, ma comunque efficace. Per capire che cos'è la normalità, e in un secondo momento distinguerla dalla patologia, può essere utile fare riferimento ad alcuni criteri riconosciuti in ambito clinico. Li proponiamo di seguito, insieme ai loro limiti.

  • Il criterio statistico stabilisce che è normale ciò che deriva dalla frequenza media di certe caratteristiche e certi comportamenti: diventa normale, quindi, ciò che è maggiormente presente nella popolazione e anormale ciò che è infrequente. Questo criterio, però, ha un limite: non sempre, infatti, ciò che è meno frequente è patologico. Si pensi, ad esempio, alle persone superdotate, cioè con un quoziente intellettivo superiore alla norma, che nessuno definirebbe "anormali", nel senso negativo del termine, né "malate".
  • Il criterio socio-culturale stabilisce che sono normali quei comportamenti che si conformano ai valori condivisi all'interno di una società e rispettosi delle norme in essa presenti. Il limite di tale criterio è che non esiste un unico modello culturale a cui poter fare riferimento, dato che ogni cultura del mondo possiede valori e norme diverse. Per esempio, gli stati allucinatori o di trance normalmente accettati presso alcune popolazioni dell'Oceania, caratterizzate da tradizioni sciamaniche, nella nostra società sono invece considerati dai chiari sintomi di patologie, anche piuttosto gravi.
  • Il criterio sintomatico-descrittivo prevede che si presti la massima attenzione alle condizioni patologiche e si cerchi di descriverne sintomi e manifestazioni nel modo più oggettivo possibile. In quest'ottica, sono ritenuti patologici quei comportamenti molesti per gli altri, che risultano fonte di disagio per l'individuo, che interferiscono con il normale svolgimento delle attività quotidiane e che producono reazioni inappropriate a stimoli esterni. Essere tristi per un lutto, ad esempio, è una reazione normale, ma non lo è sprofondare in una vera e propria forma depressiva.

Quest'ultimo criterio è quello maggiormente utilizzato dal DSM, cui abbiamo già accennato precedentemente, che riporta un sistema di classificazione dei disturbi mentali di cui parleremo in seguito. Per fissare i concetti:

  • Perché è difficile definire che cos'è la malattia mentale?
  • Quali criteri si possono utilizzare per definire che cos'è la normalità?

La malattia mentale nella storia

Nel corso della storia, i malati mentali sono stati di volta in volta presi in giro, beffeggiati e, in alcuni periodi, rinchiusi in carcere insieme ai criminali o addirittura uccisi. Il concetto di "follia", relativo a condotte considerate non normali, ha attraversato diverse interpretazioni. Nell'antichità si pensava che la follia fosse la manifestazione di una forza di origine divina penetrata nel corpo della persona colpita: è la concezione della pazzia intesa come invasamento divino. In epoca medievale si susseguirono due concezioni, l'una precedente e l'altra successiva all'istituzione del tribunale della Santa Inquisizione (1231): prima si elaborò la concezione della follia come possessione diabolica; poi, quando il folle cominciò a essere considerato colpevole e passibile di punizione (analogamente agli eretici e alle streghe), la follia fu concepita come colpa. Nel Seicento e nel Settecento le persone con disturbi mentali furono assimilate ai vagabondi, ai mendicanti, ai delinquenti senza fissa dimora, e quindi percepite come pericolose per la società; esse venivano recluse in vere e proprie prigioni, perlopiù ricavate da ex lazzaretti, diventati inutili dopo che l'incubo della peste bubbonica, nella seconda metà del Seicento, era passato: è la follia come devianza, analizzata nel celebre testo Storia della follia nell'età classica (1961) del filosofo francese Michel Foucault (1926-1984).

La medicalizzazione della follia

Solo nell'Ottocento si assistette a una "medicalizzazione" della follia, che cominciò a essere considerata una patologia della mente e del comportamento, appartenente, cioè, alla sfera di competenza dei medici: essendo intesa come una malattia, essa doveva essere diagnosticata e curata. È in questo periodo che si gettarono le prime basi della psichiatria, la specializzazione medica che ancora oggi diagnostica e cura i disturbi mentali, grazie all'opera pionieristica di studiosi come il francese Philippe Pinel (1745-1826) e il tedesco Wilhelm Griesinger (1817-1868). Alla nascita di un vero e proprio "sapere" sui disturbi mentali si accompagnò anche la creazione di luoghi specifici per l'internamento delle persone che ne erano affette, ossia i manicomi, dal greco pavía "pazzia", e knoców, "curare": si trattava di un'istituzione ambigua, le cui finalità terapeutiche, spesso orgogliosamente sbandierate, ma non autenticamente perseguite, convivevano con la preoccupazione di "rinchiudere" e segregare l'individuo folle, separandolo dagli altri e affidandolo al controllo non più dell'autorità giudiziaria, ma della scienza. La medicalizzazione della follia, sia pure sostenuta, in linea almeno teorica, da motivazioni filantropiche - Pinel in Francia abolì la barbara consuetudine, fino a quel momento in uso, di tenere i malati mentali in catene -, portò all'adozione di pratiche sedicenti curative che erano in realtà vere e proprie violenze fisiche e psicologiche sul soggetto.Dai salassi (prelievi dal corpo del malato di quantità spesso considerevoli di sangue) alle immersioni nell'acqua gelida, fino ad arrivare a trattamenti estremi come la lobotomia (l'asportazione o la recisione dei lobi frontali della corteccia cerebrale) o l'elettroshock (l'induzione di convulsioni tramite brevissime scariche elettriche al cervello), solo in parte gradualmente sostituite, nel tempo, da terapie farmacologiche. In generale, la psichiatrizzazione ha avuto l'effetto di disumanizzare l'esperienza del disagio mentale, concentrando l'attenzione sulla "malattia" e dimenticando il "malato" nella sua globalità di "corpo" e "anima", che spesso è proprio ciò che cerca disperatamente di esprimersi attraverso il sintomo patologico.

Il movimento dell'antipsichiatria

Paradossalmente, una delle critiche più incisive alla medicalizzazione della malattia mentale è nata proprio all'interno della stessa tradizione psichiatrica: essa fa capo al cosiddetto movimento dell'antipsichiatria, che ha avuto tra i suoi esponenti principali lo scozzese Ronald Laing (1927-1989) e il sudafricano David Cooper (1931-1986), e fu ispirato dal saggio Il mito della malattia mentale, pubblicato nel 1961 dallo psichiatra statunitense Thomas Szasz (nato nel 1920). In questo testo Szasz afferma sostanzialmente che la psichiatria, lungi dall'essere una scienza medica, è un semplice sistema di controllo sociale, che ostacola la reale comprensione dei soggetti con disagio mentale.Sulla scorta di queste suggestioni, il movimento dell'antipsichiatria ha posto le basi per rivedere le tradizionali forme di trattamento dei pazienti psichiatrici e proporre approcci e soluzioni innovativi. In Italia, l'impulso al cambiamento fu dato dall'opera di un giovane medico, Franco Basaglia, che sostenne con forza l'idea che il malato mentale internato, estromesso cioè dalla propria vita relazionale e sociale, finisce per perdere la propria dignità di essere umano, che dovrebbe invece costituire il presupposto imprescindibile di qualunque terapia psichiatrica. In piena coerenza con questa prospettiva, nel 1978 Basaglia fu il promotore della legge n. 180, che, oltre a una migliore regolamentazione del servizio sanitario pubblico in ambito psichiatrico, ad esempio con l'istituzione dei Centri di Salute Mentale (CSM), prevedeva la chiusura dei manicomi e la loro sostituzione con nuove strutture territoriali, in cui fosse drasticamente ridotto il ricorso a metodi di contenimento fisico (isolamento, camicie di forza) e soprattutto in cui si instaurassero nuovi e più umani rapporti con i malati.

La legge n. 180 del 1978

Trattandosi di una cosiddetta legge quadro, vale a dire una normativa che conteneva i principi entro cui potevano agire le regioni a statuto ordinario, la legge Basaglia ebbe effetti diversi sulle diverse zone del territorio nazionale.

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