Documento di Università su Introduzione all'antropologia filosofica, il rapporto con le scienze e la crisi ambientale. Il Pdf analizza il concetto di natura e la necessità di un approccio filosofico che integri etica e teoretica, utile per lo studio della Filosofia.
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Introduzione Sul finire degli anni Venti, Max Scheler, con la conferenza "Il posto dell'uomo nel cosmo", reclamava per la filosofia il compito di integrare la visione dell'essere umano delle tradizioni giudaico-cristiana e greco-antica con i risultati delle scienze contemporanee, specialmente biologia e teorie evoluzionistiche. Questo ha gettato le basi per l'antropologia filosofica del Novecento, mirante a preservare la riflessione filosofica sull'essenza dell'essere umano in un contesto secolarizzato e post metafisico, dialogando con le scienze senza abdicare al proprio ruolo storico.
L'antropologia filosofica moderna reagiva alla crisi delle visioni metafisiche-teologiche e rispondeva alle scoperte scientifiche, cercando nuovi principi teorici e pratici dopo l'esaurimento della rivelazione religiosa e la critica kantiana alla metafisica. Alcuni esempi di questa disciplina mantennero un riferimento al divino, ma la novità stava nel basare la riflessione filosofica su conoscenze scientifiche per determinare la posizione dell'uomo nella natura, offrendo una base concettuale nell'era della crisi dei grandi sistemi filosofici.
Nonostante l'importanza dell'antropologia filosofica, essa era solo una delle tendenze confrontate con le nuove evidenze scientifiche e il ridotto spazio teorico per la filosofia. Le scoperte in matematica e fisica richiesero un ripensamento del ruolo e del metodo della filosofia, portando a due esiti: la filosofia come ancella delle scienze, focalizzata sulla formalizzazione dei risultati scientifici, e una posizione difensiva, talvolta reazionaria, che opponeva sapere umanistico a sapere scientifico. Questo ha portato la filosofia a perdere il suo legame originario con la prassi, cioè la tensione alla sapienza.
Il concetto processuale di natura, riaffiorato con Schelling, Schopenhauer, Dewey, Bergson e Whitehead, può oggi ridare vigore alla filosofia, permettendole di affrontare le sfide contemporanee come l'emergenza ambientale. L'antropologia filosofica del primo Novecento offre un'opportunità per ripensare l'orientamento concettuale senza fondamenti metafisici fissi, ma in dialogo costante con la scienza.
La filosofia moderna, attraversata dalla crisi dei fondamenti, deve oggi rispondere alle sfide poste dall'accelerazione tecnologica e dalla configurazione informazionale del nuovo mondo. Deve orientare le scelte tecnologiche in un quadro più ampio di continuità con la natura. La filosofia come orientamento si pone tra fondazione e giustificazione, proponendo un atteggiamento teoretico capace di guidare l'azione in un processo dinamico, riconoscendo la sua provenienza e destinazione naturale.
Pensare la natura. La filosofia può e deve ripensare il suo ruolo e le sue applicazioni, partendo dalla crisi ambientale e dall'accelerazione tecnologica e digitale che caratterizzano la nostra epoca. Questa "rivelazione naturale" impone una riflessione sul posto dell'essere umano nel mondo e richiede un cambio di paradigma, non solo per comprendere la crisi ambientale, ma per ridefinire la funzione stessa della filosofia.
La crisi ambientale, accelerata negli ultimi decenni, costringe l'essere umano a riconsiderare il suo impatto sulla natura e a cercare soluzioni radicali per invertire il danno. Tuttavia, il testo critica il moralismo e il catastrofismo, sottolineando la necessità di un approccio positivo e rivoluzionario che traduca la consapevolezza in azioni concrete. Questo implica un ripensamento del concetto di natura, che non dovrebbe essere visto in opposizione all'essere umano ma in relazione dinamica con esso.
L'antropologia filosofica del Novecento aveva già cercato di conciliare la visione dell'essere umano con le nuove scoperte scientifiche. Oggi, un simile approccio è necessario per affrontare le questioni ambientali e riformulare i concetti filosofici di natura e ambiente. La filosofia deve superare la tradizionale separazione tra descrizione e prescrizione, nonché tra soggetto e oggetto, per comprendere la continuità tra essere umano e natura.
Il testo cita l'etica ambientale come esempio di come la filosofia deve rivedere le sue categorie per rispondere alla crisi. La fallacia naturalistica e la distinzione tra antropocentrismo e non-antropocentrismo vengono messe in discussione, dimostrando che l'etica ambientale richiede una revisione dei fondamenti filosofici.
Si propone una nuova visione della filosofia come pratica di vita che orienta le decisioni e le azioni umane. Questa visione deve considerare la natura non come un fondamento statico, ma come un processo dinamico. Il testo richiama la tripartizione classica di psicologia, cosmologia e teologia, rielaborata in chiave moderna, dove la Natura sostituisce Dio come concetto fondamentale, ma in termini di processualità piuttosto che di fondazione.
In conclusione, la filosofia deve affrontare la crisi ambientale con una nuova epistemologia che abbracci la continuità tra natura e azione umana, recuperando la sua capacità di orientamento teorico e pratico. Questo ripensamento può portare a una filosofia applicata che non si limiti a giustificare le scelte tecnologiche, ma le inserisca in un quadro più ampio di continuità naturale, offrendo risposte efficaci alle sfide contemporanee.
Rivelazione e rivoluzione della natura. Il concetto di natura è stato rinnovato dalla crisi ecologica, portando all'idea di una "rivoluzione naturale". Questa rivoluzione si presenta come una fase di un processo naturale e come risultato di un ridimensionamento del ruolo umano, iniziato con la rivoluzione copernicana. Si trova al punto di convergenza tra "storia naturale" e "storia dell'umanità", evidenziando l'impatto storico dell'umanità sul processo naturale e sancendo un cambio di epoca con l'Antropocene, introdotto dal chimico Paul J. Crutzen. Questa nuova epoca geologica, che succede all'Olocene, è caratterizzata da un forte condizionamento ambientale da parte dell'attività umana, soprattutto per le emissioni di anidride carbonica e metano.
Nella "storia della natura", l'umanità rappresenta solo una piccola frazione rispetto all'intera storia naturale che risale fino all'origine dell'universo con il Big Bang, circa 13,8 miliardi di anni fa. L'introduzione dell'Antropocene, che potrebbe essere fatta risalire all'uso massiccio di combustibili fossili nel Settecento, segna la prima volta che l'azione umana ha alterato significativamente la storia geologica. Questo impatto umano deve essere osservato sia dal punto di vista naturale che storico per i suoi effetti catastrofici.
Sul piano storico, la "rivoluzione naturale" permette all'essere umano di riconoscersi come una forza naturale. John R. McNeill, nel suo libro "Qualcosa di nuovo sotto il sole", sottolinea come i cambiamenti ecologici siano legati all'intervento umano. Anche se ciò può sembrare antropocentrico, dimostra che l'azione umana è una forza naturale. McNeill suggerisce che l'umanità ha inconsapevolmente sottoposto la Terra a un gigantesco esperimento non controllato, indicando una mancanza di consapevolezza sugli effetti catastrofici delle proprie azioni. Questa consapevolezza è essenziale per la rivoluzione naturale.
La storia umana è segnata da fasi in cui il rapporto con la natura cambia radicalmente. Sigmund Freud ha descritto tre "ferite narcisistiche" inflitte dalla scienza all'orgoglio umano: la rivoluzione copernicana, la teoria evoluzionistica di Darwin e la psicoanalisi. Queste ferite hanno progressivamente rivelato la natura inconscia dell'essere umano. Freud, richiamandosi a Schopenhauer e Schelling, ha sostenuto che la psicoanalisi è una fase di questa rivelazione della natura.
Recentemente, Luciano Floridi ha identificato una "quarta" rivoluzione con l'intelligenza artificiale, che rappresenta un'ulteriore umiliazione per l'essere umano come ente intelligente. Tuttavia, la rivoluzione naturale, secondo questa prospettiva, include tutte le precedenti e rappresenta un ribaltamento del rapporto tra uomo e natura, riconoscendo la continuità del fenomeno umano con la natura stessa. Timothy Morton ha affermato che l'Antropocene è un concetto anti-antropocentrico, superando la distinzione tra antropocentrico e non-antropocentrico.
La rivoluzione naturale presuppone una "rivelazione della natura", in cui la natura si mostra come l'unico soggetto a cui tutto appartiene. Questa rivelazione non implica una visione necessitata della natura, ma riconosce la libertà intrinseca della natura stessa. Kant aveva già suggerito un legame tra la causalità della natura e la libera causalità dello spirito.
La rivoluzione naturale si colloca in un punto di convergenza tra la storia naturale e quella umana. Nell'epoca dell'Antropocene, l'umanità riconosce di essere una forza naturale, comprendendo la propria azione come parte di un processo più ampio. Questa "presa di coscienza" è essenziale per la rivoluzione naturale, che implica un nuovo modo di pensare il ruolo dell'uomo nella natura, accettandone la libertà e creatività. La filosofia, in questo contesto, può offrire un orientamento teorico e pratico per la ricreazione della natura.
Capitolo primo Atopos. Le risorse del nichilismo 1. La rivoluzione naturale come atopia. Il testo esplora l'idea della "rivoluzione naturale" come un processo di rivelazione della natura che coinvolge l'essere umano in un ruolo attivo e consapevole. Questa rivoluzione si distingue dalle altre forme di rivoluzione, sia scientifiche che storiche, per la sua capacità di adattamento e orientamento all'ambiente naturale.
Viene proposta una distinzione tra rivoluzioni scientifiche e storiche: le prime mirano a comprendere la natura, senza necessariamente un fine ultimo, mentre le seconde sono orientate verso l'utopia, cioè la creazione di mondi migliori. Le rivoluzioni scientifiche rivelano la natura attraverso le scoperte, mentre quelle storiche sono guidate dall'aspirazione a migliorare le condizioni di vita umane.
Thomas Kuhn, nel suo saggio "La struttura delle rivoluzioni scientifiche", suggerisce che le scoperte scientifiche portano spesso al superamento di vecchie convinzioni, richiedendo nuovi linguaggi e modelli epistemologici. Questo processo mette in evidenza l'inefficienza del linguaggio descrittivo tradizionale e la necessità di una nuova prospettiva epistemologica. Kuhn mette in discussione la neutralità dell'esperienza sensibile e delle teorie scientifiche, suggerendo che il punto di vista epistemologico dominante non funziona più efficacemente.
Il testo prosegue riflettendo sul concetto di scienza e sulla difficoltà di definirla in modo stabile. Si afferma che la scienza, pur evolvendosi, ha sempre mirato a fornire modelli del mondo reali e verificabili, rispondendo al bisogno umano di adattamento e orientamento. Questa visione storica e sociale della scienza è fondamentale per comprendere il ruolo rivoluzionario delle teorie scientifiche.
Kuhn osserva che la scienza procede per accumulazione e cambiamenti di paradigma, con passaggi rivoluzionari che portano a nuove visioni del mondo. Questo processo è paragonabile alle rivoluzioni politiche e sociali, che trasformano la convivenza umana basata su equilibri precari e spinti da utopie.
La "rivoluzione naturale", invece, si colloca tra la storia della natura e quella dell'umanità, rompendo con l'idea di una verità ultima e di un fondamento stabile. Il nichilismo contemporaneo, visto come correlato teorico della rivelazione naturale, accompagna la fine delle grandi narrazioni e delle ideologie che hanno guidato l'umanità. Questa prospettiva nichilistica non è una resa, ma un necessario presupposto per il recupero della vocazione originaria della filosofia.
2. La filosofia come atopia. Il testo tratta della complessa tematica della "morte di Dio" nell'opera di Nietzsche, particolarmente enfatizzata nell'aforisma dell'uomo folle ne La gaia scienza. Questo evento simbolico segna un cambiamento epocale nel pensiero occidentale, destabilizzando le fondamenta metafisiche e teologiche su cui si basava la comprensione dell'esistenza umana.
Nietzsche presenta l'annuncio della "morte di Dio" come un atto paradossale e provocatorio compiuto dall'uomo folle. Questo personaggio, che rappresenta un archetipo che rinvia sia al cinismo di Diogene sia alla follia sapienziale socratica, proclama la fine della credenza in un orizzonte stabile e significativo, incarnato dalla figura divina. Questa morte non è solo una scomparsa teologica, ma rappresenta anche la dissoluzione di ogni certezza metafisica che ha fornito un fondamento per l'orientamento umano nel mondo.
Il nichilismo che emerge da questa proclamazione non è semplicemente negativo, ma contiene anche una potenziale apertura verso un superamento delle concezioni tradizionali di stabilità e certezza. Nietzsche invita a considerare questa morte come un'opportunità per una "naturalizzazione" dell'uomo, un ritorno alla natura non contaminata dalle costruzioni metafisiche e religiose. Questo processo non implica una riduzione dell'umanità a meri meccanismi naturali, ma piuttosto una liberazione per una nuova espressione creativa e una reinterpretazione dell'esistenza umana.