Documento di Scuola superiore sui movimenti di opposizione alla Restaurazione. Il Pdf, utile per la materia Storia, esplora le ideologie politiche, le società segrete e i moti rivoluzionari che hanno scosso l'Europa tra il 1820 e il 1848.
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Sul piano politico e ideologico l'eredità della Rivoluzione francese si manifestò in due grandi filoni di pensiero, entrambi ostili ai processi politici e sociali avviati dalla Restaurazione.
Il primo di tali filoni è il liberalismo, espressione della fascia economica della borghesia imprenditoriale e commerciale. Esso affondava le sue radici nel pensiero del filosofo inglese John Locke (1632-1704), per il quale lo Stato ha il dovere di rispettare e difendere la libertà, l'uguaglianza e la proprietà dei cittadini, considerati diritti naturali inalienabili, cioè irrinunciabili.
Il liberalismo si fonda su alcuni principi fondamentali:
È importante sottolineare che i liberali guardavano spesso con preoccupazione alla partecipazione popolare alla politica, temendo il prevalere della volontà di una maggioranza "mediocre" sulle elite più colte e raffinate. Molti liberali, inoltre, rifiutavano azioni di forza, come insurrezioni e atti rivoluzionari, e conducevano la loro battaglia politica attraverso la stampa e la propaganda.
Il secondo grande filone in opposizione alla Restaurazione fu quello democratico, che si differenziava dal liberalismo non tanto nei principi (libertà, riduzione dei poteri dello Stato, difesa dell'individuo contro gli abusi, laicità dello Stato), quanto nei metodi della loro attuazione.
Le idee dei democratici discendevano dal pensiero del filosofo francese Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), che considerava la libertà dell'uomo un diritto naturale e sosteneva la necessità di perseguire il bene comune attraverso la "volontà generale", manifestazione della sovranità del popolo, concetto opposto a ogni forma di potere autocratico.
I democratici sostenevano il suffragio universale e denunciavano le condizioni di emarginazione delle classi popolari, da riscattare con l'istruzione e la lotta alle ingiustizie sociali.
I democratici lottavano inoltre per l'indipendenza nazionale, consapevoli che alcuni popoli europei mal sopportavano di essere governati da sovrani stranieri (come in Italia e Polonia) o di essere distribuiti in Stati diversi (come in Germania e Italia).
Essi furono i primi a definire con chiarezza l'idea di "nazione": una comunità di persone unite da lingua, storia comune e tradizioni culturali simili. Ogni nazione possedeva, per i democratici, il diritto di vivere riunita in un unico Stato. A differenza dei liberali, i democratici prevedevano la possibilità di una soluzione rivoluzionaria, qualora i metodi pacifici risultassero impossibili.
In un contesto politico che rifiutava qualsiasi manifestazione di pensiero e qualsiasi azione in grado di alterare l'ordine stabilito, i liberali e i democratici si unirono in società segrete.
Si trattava di associazioni clandestine che miravano sia all'elaborazione della dottrina sia alla preparazione di azioni dimostrative e insurrezioni.
Data l'esigenza della massima segretezza per sfuggire alla repressione della polizia, queste società si diedero una struttura rigidamente gerarchica, in cui spesso gli stessi membri non erano a conoscenza dell'intera organizzazione, per evitare che l'eventuale scoperta o tradimento di singoli affiliati potesse comprometterne la sopravvivenza.
Alle società segrete aderirono aristocratici illuminati insofferenti di un ordine considerato ormai superato, funzionari dell'amministrazione pubblica, intellettuali, studenti e professionisti. Crebbe progressivamente anche l'adesione di ufficiali e sottufficiali dell'esercito, che avevano militato nelle armate napoleoniche e ne avevano assimilato le idee.
Per effetto della miseria, delle condizioni di ignoranza e del vincolo di obbedienza alle autorità tradizionali, la massa della popolazione, soprattutto quella rurale, non appariva in grado di cogliere il messaggio di rinnovamento e di libertà proveniente dalle élite intellettuali e professionali.
Gli aderenti alle società segrete, dunque, per quanto determinati nei loro obiettivi, rappresentavano una ristretta minoranza rispetto al totale della popolazione.
Tra le più importanti società segrete operanti in Europa negli anni Venti dell'Ottocento vi fu la Carboneria, sorta nell'Italia meridionale forse da una divisione interna della massoneria.
Il suo programma era ispirato agli ideali della libertà politica e del governo costituzionale, oltre alla lotta contro i privilegi della nobiltà.
Nel Nord d'Italia operavano altre due società segrete:
Le società segrete si diffusero in tutta Europa - Russia, Germania, Grecia, Francia - negli Stati Uniti e in America Latina, con caratteristiche specifiche legate alle condizioni particolari di ciascun paese. Per tutte, comunque, si poneva il problema cruciale del coinvolgimento delle masse popolari nelle attività insurrezionali.
Tra il 1820 e il 1825, in una situazione di crisi economica e sociale, il sistema politico creato al Congresso di Vienna cominciò a mostrare cedimenti.
In Spagna, con il ritorno di Ferdinando VII (1813-1833), fu ripristinato l'assolutismo: privilegi alla nobiltà, riapertura dell'Inquisizione, condanna all'esilio dei funzionari di Giuseppe Bonaparte. A ciò si aggiunse la rivolta nelle colonie americane, conclusa nel 1825.
Nel gennaio 1820, a Cadice, una guarnigione militare diede inizio a un'insurrezione con a capo il colonnello Rafael del Riego, che chiese il ristabilimento della Costituzione di Cadice (1812). I liberali di Madrid aderirono, costringendo il re a indire elezioni nel giugno 1820. La Costituzione limitava fortemente il potere del re, assegnando il legislativo a un Parlamento eletto a suffragio maschile e censitario.
Nel 1822, la Quadruplice Alleanza (con astensione britannica) incaricò la Francia di intervenire: nella primavera 1823, l'esercito francese entrò in Spagna, stroncò la resistenza e ristabilì l'assolutismo.
In Portogallo, una rivolta partita da Porto da parte di intellettuali e militari si diffuse fino a Lisbona. Il re Giovanni VI (1816-1826) concesse una Costituzione simile a quella spagnola. Tuttavia, nel maggio 1823, una guarnigione militare impose lo scioglimento del Parlamento e il re sospese la Costituzione riprendendo i pieni poteri.
Sull'onda delle rivolte iberiche, anche in Italia vi furono insurrezioni. A Napoli, Guglielmo Pepe guidò il moto tra intellettuali e militari, ottenendo dal re Ferdinando / una Costituzione sul modello spagnolo. In Sicilia, oltre all'opposizione all'assolutismo, si chiedeva l'indipendenza: a Palermo, nel giugno 1820, si ripristinò la Costituzione del 1812 e fu istituito un Parlamento siciliano. Il re borbonico reagì con una repressione sanguinosa.
Per reprimere i moti, Ferdinando / chiese l'intervento della Quadruplice Alleanza: nel marzo 1821, l'esercito austriaco scese nel sud e sconfisse i costituzionalisti.
Il re Vittorio Emanuele / (1802-1821) ristabilì l'assolutismo, ma l'erede Carlo Alberto sembrò mostrare aperture. A Torino, si pensava potesse sostenere le iniziative insurrezionali di liberali come Santorre di Santarosa. I patrioti volevano una monarchia costituzionale e uno Stato italiano del Nord unito contro l'Austria.
Il 10 marzo 1821 partì l'insurrezione. Vittorio Emanuele I abdicò in favore del fratello Carlo Felice; in sua assenza, Carlo Alberto assunse la reggenza, concesse la Costituzione e formò un governo con Santarosa. Tuttavia, Carlo Alberto abbandonò la reggenza e Carlo Felice revocò la Costituzione. Intanto, l'Austria reprimeva la rivolta.
Nel Lombardo-Veneto, attorno al giornale "Il Conciliatore", nacquero gruppi liberali che volevano l'unione con il Piemonte sotto una monarchia costituzionale. Ma l'intervento austriaco bloccò ogni piano. Famosa fu la condanna di Pellico e Maroncelli, carbonari, poi imprigionati allo Spielberg.
Dopo il 1821, i tribunali piemontesi e napoletani emanarono condanne severe. Centinaia di patrioti fuggirono in Svizzera, Belgio, Gran Bretagna e Francia, entrando in contatto con esuli di altre nazioni: gli ideali di libertà assunsero una dimensione europea.
I fallimenti rivoluzionari mostrarono elementi comuni:
Anche in Russia ci fu un'insurrezione, promossa da ufficiali aristocratici che avevano conosciuto l'Occidente durante le guerre napoleoniche. Il moto decabrista (da dicembre, "dekabr") voleva un regime costituzionale e la riforma della società russa, ancora basata sulla servitù della gleba.
Nel dicembre 1825, alla morte di Alessandro I, alcuni ufficiali rifiutarono di giurare fedeltà a Nicola I, cercando di impedirne l'ascesa. La rivolta fu repressa duramente, con condanne a morte e deportazioni in Siberia.
L'unica rivoluzione che ebbe successo fu quella greca, iniziata nel 1821 come guerra di liberazione dal dominio dell'impero ottomano. L'opinione pubblica europea guardò alla rivolta con benevolo interesse, vedendola come simbolo dei movimenti liberali e nazionali contro i regimi dispotici, anche per le stragi di civili causate dalla repressione turca.
Numerosi patrioti europei - tra cui Lord Byron e Santorre di Santarosa - partirono per combattere a fianco dei greci. Gli insorti ricevettero anche il sostegno militare di Francia, Gran Bretagna e Russia, che volevano approfittare della disgregazione dell'Impero ottomano. Nel 1827, nella battaglia navale di Navarino, le flotte europee inflissero gravi perdite a quella turca. I greci, forti di questo appoggio, ottennero con la pace di Adrianopoli del 1829 l'autonomia, e nel 1830 l'indipendenza effettiva.
A causa delle divisioni interne al movimento, il nuovo Stato fu posto sotto tutela europea e divenne una monarchia guidata da Ottone di Wittelsbach (1832-1862). Anche altri paesi vicini - Serbia, Moldavia, Valacchia - ottennero forme di autonomia, accelerando il declino dell'Impero ottomano.
All'inizio dell'Ottocento, nell'America Latina - la parte del continente americano a sud degli Stati Uniti colonizzata da nazioni latine - un grande moto di indipendenza minava i due imperi coloniali di Spagna e Portogallo. Il continente era ancora governato da vecchi sistemi politici risalenti a tre secoli prima, con i viceré che decidevano tutto in nome dei re europei.
L'America Latina era anche culturalmente legata all'Europa, e le idee di libertà nate con la Rivoluzione francese si diffusero tra la borghesia creola, composta da bianchi nati nelle colonie da genitori spagnoli. Questa borghesia, dominante nella società, vedeva nell'indipendenza l'opportunità per uno sviluppo economico autonomo, grazie all'esportazione di prodotti agricoli e materie prime. Iniziarono così a nascere organizzazioni che miravano all'abbattimento del governo coloniale e alla creazione di nuove istituzioni indipendenti.
Nel 1808, con la campagna di Napoleone in Spagna, si aprì in America spagnola un vuoto di potere. Gli indipendentisti approfittarono per creare governi locali, e nel Paraguay e Venezuela si proclamò l'indipendenza nel 1811. Ma nel 1815, con il ritorno dei Borbone al potere, la Spagna revocò tutti i governi locali.
Le lotte continuarono. Tra il 1816 e il 1821, José de San Martín conquisto Argentina, Cile e Perù, proclamandoli indipendenti. Simón Bolívar fece lo stesso nel nord, proclamando nel 1819 la Repubblica della Gran Colombia (Colombia, Venezuela, Ecuador). Nel 1824, San Martín e Bolívar sconfissero l'esercito spagnolo nella battaglia di Ayacucho, e nel 1825 nacque la Repubblica di Bolivia. Anche il Messico e i paesi dell'America Centrale si resero indipendenti e nel 1823 si unirono nella Repubblica delle Province Unite del Centro America.
Nel Brasile, l'indipendenza dal Portogallo fu pacifica: nel 1822, Pietro I, figlio del re portoghese, fu nominato imperatore del Brasile, indipendente dalla madrepatria.
Le potenze europee non intervennero per aiutare Spagna e Portogallo, a differenza di quanto avvenuto in Europa. Questo per mancanza di coesione, alti costi militari e perché