Documento di Università sulla Pedagogia Critica. Il Pdf esplora la pedagogia critica, analizzando la sua evoluzione e il ruolo nel contesto neoliberista, con un focus sulla relazione tra cultura, politica ed educazione in Psicologia.
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Negli ultimi anni sono tornati in auge il pensiero e le argomentazioni con i quali, negli anni settanta e ottanta, si condannava l'educazione critica, ma oggi sono presentati come i principi di una "riforma educativa".
La pedagogia critica, in quanto pratica morale e politica, oltre a promuovere lo sviluppo dell'analisi critica e la formulazione di giudizi morali, trasmette anche, quegli strumenti che sono indispensabili per sovvertire i principi di senso comune, promuovere la crescita individuale e dell'agenzia sociale e impegnarsi nelle esigenze e nelle promesse, sempre diverse, di un governo democratico. Uno degli obiettivi fondamentali della pedagogia critica è la volontà di individuare quei luoghi e quelle prassi in cui l'agenzia sociale viene negata o prodotta. Essa è il risultato di lotte particolari, ed è sempre definita in relazione alla specificità di contesti, studenti, comunità e risorse disponibili. La pedagogia critica invita a riflettere sui modi in cui vengono prodotti conoscenza, potere, desiderio ed esperienza, nelle specifiche condizioni dell'apprendimento.
Alla fine degli anni settanta e primi anni ottanta, l'istruzione, veniva sempre meno considerata come un bene pubblico e sempre più come un diritto privato. In quelle circostanze, la nascente pedagogia critica rappresentava un'opportunità importante, poiché permetteva di identificare i modelli di dominazione economica e culturale che legavano la scuola ai nuovi regimi della privatizzazione, della mercificazione e del consumismo. Essa rappresentava la volontà di interpretare la scuola come luogo di lotta, di considerare gli interventi pedagogici come forme di resistenza e di collegare l'insegnamento all'opportunità di un cambiamento personale e sociale.
Quando è al servizio dei modelli di riproduzione, la pedagogia si riduce a un metodo didattico basato sulla trasmissione, sulla divulgazione di una cultura conformista e sull'idea che la conoscenza venga assorbita in modo passivo. Attraverso il progetto della speranza informata, la pedagogia critica è come una lenta con la quale è possibile vedere l'istruzione, a tutti i livelli, come un importante luogo di lotta, che può trasmettere agli studenti modelli alternativi i insegnamento, relazioni sociali e la capacità di immaginare, piuttosto che limitarsi a riprodurre lo status quo.
La politica è un elemento centrale di qualsiasi interpretazione pedagogica che abbia come obiettivo la volontà di permettere agli studenti di pensare criticamente e imparare ad assumere dei rischi, agire in modo socialmente responsabile e collegare le loro questioni private a considerazioni pubbliche più ampie. La pedagogia critica mette in primo piano la lotta sull'identità, i modelli di agenzia e quelle mappe di significato che permettono loro di definire se stessi e la relazione con gli altri.La pedagogia critica è un progetto che spinge insegnanti e studenti a trasformare attivamente la conoscenza, piuttosto che semplicemente consumarla.
Solo una pedagogia che sostenga lo scopo civico dell'educazione e fornisca un linguaggio e un'insieme di prassi che approfondiscono la nostra umanità contribuirà ad accrescere le possibilità di realizzare una vita pubblica in cui vi sia una condivisione di spazi, valori e responsabilità. Solo una tale pedagogia può promuovere modelli di solidarietà e di azione collettiva capaci di difendere il bene pubblico e le relazioni di potere simboliche e istituzionali necessarie per una democrazia sostenibile. Con la crescente influenza del neoliberismo che si è verificata negli ultimi trent'anni, gli stati uniti hanno assistito all'emergere di modelli educativi che rendono gli esseri umani superflui come agenti politici, chiudono le sfere pubbliche democratiche, disprezzano i valori pubblici e osteggiano il dissenso.
La pedagogia critica afferma che gli studenti possono sperimentare un apprendimento da una posizione di agenzia, e così facendo partecipare attivamente a narrare le proprie identità attraverso una cultura dell'interrogazione, ch apre uno spazio di traduzione tra privato e pubblico, rendendo possibile la trasformazione dell'identità personali e sociali. La pedagogia critica non si limita alla lotta sui significati assegnati, la conoscenza ufficiale e i modelli stabiliti di autorità: essa incoraggia gli studenti ad assumersi dei rischi, ad agire in base al loro senso di responsabilità sociale e pensare che il mondo possa essere oggetto di analisi critica ma anche di trasformazione e speranza. Secondo questo paradigma, la pedagogia non è limitata all'apprendimento delle abilità critiche o di tradizioni teoriche, ma è caratterizzata dalla possibilità di utilizzare l'interpretazione come modello di intervento, come pratica vitale, che fa si che gli studenti pensino e agiscano in modo diverso.
Una delle questioni fondamentali che sollevano gli educatori negli ultimi anni è in che modo gli insegnamenti della scuola pubblica possano sviluppare e attuare una progettazione educativa che tenga conto delle importanti dimensioni etiche e normative che strutturano le decisioni e le esperienze in classe.
Il bersaglio della critica è l'insegnate, il quale non sembra curarsi del complesso processo di trasmissione di contenuti e aspettative che tendono a riprodurre e legittimare la cultura dominante. Secondo questa lettura gli insegnanti, e gli altri soggetti coinvolti nel processo educativo, spesso non si interrogano su quale sia la loro percezione della classe, su come gli studenti costruiscano il senso di ciò che viene loro presentato ne su come la conoscenza sia mediata tra gli insegnanti stessi e gli studenti.
Alcuni critici di impostazione neomarxista, invece, hanno cercato di spiegare come la politica della società dominante sia collegata al carattere politico dell'incontro sociale che si svolge n classe. In questa analisi, l'attenzione si sposta al modo in cui l'ordine sociale è legittimato eriprodotto attraverso la produzione e distribuzione di un sapere e di processi sociali di classe "accettabili".
Entrambe le riflessioni ermeneutiche e politiche espresse da entrambi i gruppi possono essere utilizzate in modo complementare per analizzare le diverse convinzioni e i meccanismi che mediano tra la cultura del positivismo e la pedagogia della scuola; ma è necessario soffermarsi più accuratamente sia sul fondamento concettuale che sul fulcro specifico di una tale analisi.
Nel corso dell'ultimo decennio, sempre più voci hanno ravvisato nella società un crescente senso di "irrilevanza" della storia. Questa tendenza è stata condannata da alcuni critici sociali, mentre altri l'hanno sostenuta.
Lo storico David Donald attribuisce "morte della storia" alla fine del' "età dell'abbondanza". Egli ritiene che la storia non sia più in grado di fornire una prospettiva valida per il futuro. Altri critici interpretano la "morte della storia" come una crisi della coscienza storica stessa. Secondo la loro analisi, il concetto consiste nel fatto che non sia stata la storia a diventare irrilevante, ma che piuttosto sia stata soppressa la coscienza storica.
Secondo questa visione, quindi, il senso critico è indissolubilmente radicato nel senso storico. Ciò implica che i modelli di ragionamento e di interpretazione riescano a sviluppare un adeguato senso critico, solo nella misura in cui tengono conto del fluire della storia. Afferma Herbert Marcuse che la scelta di ignorare la storia rappresenta una minaccia per il pensiero stesso.
La coscienza storica è accettabile per gli interessi dominanti quando può essere utilizzata per rafforzare l'ordine sociale esistente, diventa, invece, pericolosa quando il suo contenuto di verità ne mette in evidenza le contraddizioni.
Gramsci era profondamente preoccupato da quelli che identificava come i nuovi modelli di dominazione nelle società più industrializzate dell'occidente. Egli affermava come, con lo sviluppo della scienza e della tecnologia moderna, il controllo sociale non fosse più esercitato attraverso l'uso della forza fisica quanto attraverso la distribuzione di un elaborato sistema di norme e imperativi.
Gramsci chiamava questa forma di controllo "egemonia ideologica", una forma di controllo che manipola la coscienza e satura e colma le esperienze quotidiane che influenzano il comportamento umano.
L'analisi di Gramsci è fondamentale per capire come l'egemonia culturale venga utilizzata dalla classe dirigente per riprodurre il proprio potere economico e politico. Per tanto, il concetto di egemonia culturale fornisce il fondamento teorico alla luce del quale è possibile esaminare la relazione dialettica tra la produzione economica e la riproduzione sociale e culturale. Al centro di questa riflessione vi è la considerazione che le società più industrializzate, come gli statiuniti, distribuiscano iniquamente non solo beni e servizi economici, ma anche certe forme di capitale culturale.
Invece le convinzioni e i processi sociali che si svolgono nelle agenzie primarie della socializzazione né "rispecchiano" gli interessi della società, né sono indipendenti da essi.
Le corrispondenza e le contraddizioni che mediano tra le istituzioni come la scuola e la società esistono in un'attenzione dialettica tra loro e variano in funzione delle specifiche condizioni storiche. È all'interno dei parametri di questa sempre mutevole relazione dialettica tra potere e ideologia che la base sociale dell'attuale crisi della coscienza storica può essere rintracciata. Ed è sempre all'interno di questa relazione che può essere analizzato il ruolo della scuola nel riprodurre la stessa crisi.
Con lo sviluppo della scienza e delle nuove tecnologie, gli schemi culturali e il concetto di progresso sono cambiati considerevolmente. Entrambi questi cambiamenti hanno gettato le fondamenta per l'eliminazione della coscienza storica.
Così come la cultura dell'industrializzazione ha trasformato radicalmente la vita quotidiana, la gestione su base scientifica ne ha alterato i modelli tradizionali di lavoro.
I cambiamenti sul luogo di lavoro e nella sfera del tempo libero son andati di pari passo con una sorta di legittimazione tecnocratica, basata su una visione positivista della scienza e della tecnologia. Laddove, negli stati uniti del diciottesimo e diciannovesimo secolo, il progresso era connesso all'idea di una crescita morale e di una maggiore disciplina individuale, nel ventesimo secolo, esso si è liberato dalla preoccupazione di liberare la condizione umana e ha avuto come unico riferimento la crescita materiale e tecnica. Ciò che un tempo era considerato umanamente possibile è stato così ridotto alla sola questione di ciò che è tecnicamente possibile.
Se la coscienza critica consiste nella capacità di pensare il processo e la genesi dei diversi stadi della riflessione, allora questo concetto di storia difficilmente può rappresentare una forza critica ed emancipatoria. Se vogliamo comprenderne il ruolo nella soppressione della coscienza storica, essa va vista nella sua più ampia funzione di ideologia dominante.
Il termine "positivismo" ha subito così tanti cambiamenti, che è praticamente impossibile circoscriverne il significato ad una specifica scuola di pensiero o ad una prospettiva ben definita. Ci si può riferire alla cultura del positivismo come all'eredità del pensiero positivista, un'eredità che comprende quelle convinzioni, atteggiamenti, tecniche e concetti che ancora oggi esercitano un'influenza potente e pervasiva sul pensiero moderno.
L'espressione "cultura del positivismo" è utilizzata in questo contesto per fare una distinzione tra il movimento filosofico specifico e una forma di egemonia culturale. È una distinzione importante perché sosta il fulcro del dibattito sui principi del positivismo dal campo della filosofia a quello dell'ideologia.