Pdf dall'Università Pegaso sulla teoria e la tecnica delle forze del discorso. Il Materiale esplora la retorica come metalinguaggio e tecnica, ripercorrendo la sua evoluzione storica e il contributo di Roland Barthes all'analisi semiotica della fotografia, con concetti come studium e punctum.
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1. La teoria e la tecnica delle forze del discorso La retorica è un Metalinguaggio: parla del modo in cui i linguaggi si interrogano sui valori. È una Scienza: un campo di osservazione dei conflitti e dei consensi che governano l'interazione. Ed è una Tecnica: un insieme di ricette e tattiche per consentire la comunicazione efficace delle idee nella vita pubblica e privata. Ma come mai a scuola allora la studiamo solo nell'analisi della poesia, come esercizio (un po' sterile e meccanico) di riconoscimento di metafore, metonimie, sineddochi, anafore, ecc ...? Quella che in sintesi è "l'arte dell'argomentazione" ha subito nel tempo 3 restrizioni progressive: dalle pratiche sociali al discorso; dal discorso ad alcune sue forme; da queste forme alla singola parola (Rastier 2001). La nascita della retorica si fa risalire al momento in cui i tiranni in Sicilia (485 a.C. circa) minacciano di espropriare le terre ai contadini e Corace evita la sommossa violenta sostituendola con la vis, con la forza linguistica (Cicerone, Brutus, 46 a.C.). La retorica è alla base dell'agorà greca, della politica come democrazia, "governo del popolo", e dell'istituzione del diritto romano. Senza forza discorsiva, non c'è alcuna possibilità di difendere chi non sa e non può difendersi da solo.
Giudiziaria e deliberativa prima che epidittica, cioè ben prima che le sue forme siano vezzeggiative o dispregiative, la retorica è una scienza di intervento sull'interlocutore per far valere dei valori, che poi potranno stabilizzarsi e diventare norme. Anche per Quintiliano (Institutio Oratoria, 90-96 d.C.) era molto chiaro che le figure retoriche, i "tropi", sono «movimenti che arrecano cambiamento». La loro riduzione storica a segni isolati, chiusi dentro rigide classificazioni, a orpelli secondari e illusori che, se tolti, non inficiano il senso "proprio" della lingua, impedisce di spiegare e comprendere i processi stessi di elaborazione dei fatti.
C'è un abisso fra il modo in cui si insegna e si impara la retorica a scuola, un pedante esercizio di identificazione di "abbellimenti" in poesia, e l'uso della retorica, con il suo impatto cognitivo, patemico e pragmatico, nei discorsi di qualsiasi ambito della vita sociale - politico, economico, religioso, scientifico ... - nei quali per altro le parti dell'inventio, della dispositio, dell'elocutio, della memoria e dell'actio, abbandonate nella didattica, si conservano intatte. Nella divulgazione scientifica, soprattutto con l'infografica, assistiamo oggi a tentativi di tutti i tipi perprodurre degli analoghi concreti di idee astratte, per rappresentare modelli fisici spaziali delle particelle elementari, ingrandire e rendere visibili aspetti interni ed esterni dei tanto attuali virus.
I fatti accadono e non vanno confusi con le loro interpretazioni, ma solo le interpretazioni e le pratiche concrete di costruzione dei fatti ci permettono di condividerli e di pensarli. Storicamente il potere della retorica, in quanto forza del discorso sulle idee e le ideologie, è stato talmente temuto da esorcizzarlo e negarne l'insegnamento nei sistemi di istruzione. Ma, nella pratica, i pochi che hanno i mezzi per imparare sanno "come si fa". Detenendo questo potere, arrivano a manipolare chi ne è privo. Ecco il problema: le strategie del discorso sono riservate a pochi eletti, il che ne favorisce un uso incantatorio e non a fin di bene. La retorica come arte di argomentare e di saper intendere - conoscenza e competenze - dovrebbe essere educativamente alla portata di tutti, come le altre arti del "trivio" - le "supreme" e intoccabili grammatica e dialettica - e non lo è. Di qui il ruolo di "intellettuali mediatori" come Roland Barthes, che hanno voluto "sbiancare" i messaggi che le classi dominanti in politica e nei media spacciavano per ovvii e innocenti.
Il successo della politica che parla alla pancia del Paese, oggi attraverso il medium della rete in social network come Instagram, Facebook e Twitter, ieri con mezzi di massa come la radio e la televisione, può essere spiegato e decostruito solo tornando sui suoi funzionamenti retorici, sulle tecniche del consenso e del dissenso che lo veicolano, sui "buchi" dell'expertise fra lettori "ingenui" e lettori "modello".
2. Barthes, La retorica antica E' giocoforza per Barthes, quando studia i Miti d'oggi (1957), capire a fondo il meccanismo che genera influenza presso il grande pubblico. Come si ottiene, attraverso i media, quell'effetto di naturalezza dei beni di consumo che li rende indispensabili e desiderabili? Per poter smontare i sistemi di connotazione del terzo livello, Barthes ha giustamente bisogno di conoscerne le strategie. Legge Louis Hjelmslev (1943), il quale aveva definito la retorica un linguaggio «connotativo», in grado di organizzare e rimotivare i segni esistenti, che hanno già un loro portato «denotativo», facendoli diventare forme dell'espressione di nuovi segni, correlati a nuove forme del contenuto. E ne rielabora la categoria denotazione/metalinguaggio/connotazione nei suoi Elementi di semiologia (1964).
Già nel 1964 Barthes pubblica nella rivista Communications (1964) un famoso articolo sulla Retoricadelle immagini (vedi qui, paragrafo 3) e, all'Ecole Pratique des Hautes Etudes di Parigi, tiene un corso sull'analisi della Retorica di Aristotele poi trascritto e pubblicato nel 1970 in Francia con il titolo Retorica antica (1970), in un numero speciale di Communications.
Questo saggio cruciale di Barthes situa la retorica al centro del dibattito, partendo dalle sue origini e insistendo sulla possibilità di una teoria del discorso al di là della frase, a cui si ferma la grammatica. Infatti, ricordando come abbiamo studiato retorica a scuola, è come se si fosse confinato il suo uso al singolo sintagma o addirittura a una singola parola. Barthes spiega che ciò è avvenuto nell'Illuminismo, con l'Encyclopédie e la divisione fra saperi, poi con il Positivismo, quando si è ritenuto opportuno separare la letteratura dal pensiero del linguaggio. Sofistica, logica e grammatica, che erano le scienze linguistiche dominanti, hanno relegato la retorica a un' "arte degli orpelli", "degli ornamenti", spesso ingiustamente associando il suo potere di messa in immagine, di rappresentazione delle cose, al falso. Il giudizio morale ha pesato sulla retorica, che è stata allora messa sotto silenzio trasformandola in un'ambigua e ridondante lessicologia.
Nel frattempo, però, in contrasto con questa teoria impoverita e resa quasi del tutto inadeguata, nella pratica tutti i sistemi espressivi hanno continuato regolarmente a usare la retorica per comunicare. Appunto perchè si tratta di una componente ineliminabile dell'interazione sociale. Le figure retoriche non sono decorazioni superflue della letteratura da separare dalle argomentazioni in politica o dalle parti di difesa e di accusa nel diritto, ma forze del discorso o, come scrive Barthes (op. cit.), sono luoghi d'invenzione e di elaborazione del pensiero.
La replica migliore a chi sostiene che il senso "proprio", in quanto permanere dell'essenza, vada salvaguardato da ciò che è illusorio e accessorio deriva dalle ragioni stesse per cui nasce la retorica: come sistema delle posizioni e delle forze messe in campo a difesa della terra, ovvero del bene che, fisicamente ed eziologicamente, è più proprio all'uomo.
3. Retorica delle immagini Dunque, ricapitolando, Barthes apre gli occhi sull'importanza della retorica, provando che si tratta di una disciplina niente affatto pedante e noiosa. Sono stati i grammatici e i logici ad averla relegato in un cantuccio e a diffonderla come "falso e ornato del discorso". La retorica sarebbe una sorta di travestimento, di maschera fittizia sovrapposta all'unico vero strato che conta, quello proprio e letterale del linguaggio. Barthes, attraverso lo studio della retorica antica, respinge questavisione, ricordando che la retorica nasce nel momento in cui il diritto della proprietà terriera è minacciato dai tiranni. È un sistema di forze e di passioni alternativo alla violenza. La diplomazia - arte della negoziazione - ma anche l'influenza - arte del conflitto, dell'imposizione - hanno nella Grecia democratica rimpiazzato la violenza fisica. Il pubblico di oggi e di ieri ha bisogno di conoscere il funzionamento della retorica nella società per "sbiancarlo", decostruirlo al momento opportuno, quando queste strategie vengono messe in atto a fini consumistici. Altrimenti i "persuasori" rimangono "occulti" (Packard 1957).
Da questo punto di vista Barthes è stato uno dei primi studiosi ad essersi seriamente occupato di pubblicità, cioè di tutto ciò che arriva a un pubblico sotto forma di comunicazione usata per creare consenso e vendere. Un ruolo centrale svolge in proposito il suo contributo sulla Retorica dell'immagine (1964). E' chiaro, infatti, che sono non i meri eventi o gli oggetti di consumo in sé, ma le fotografie di questi eventi ed oggetti - che si tratti del detersivo, dell'automobile, di Greta Garbo o del grande matrimonio - a renderli miti, in congiunzione con il pubblico.
Nell'incipit di questo articolo Barthes nota che le fotografie funzionano come miti: naturalizzano delle ideologie attraverso tecniche e artifici del medium fotografico e sfruttando l'esistenza di stereotipi e abitudini percettive. La foto pubblicitaria risulta "enfatica" perchè è costruita ad arte. Il semiologo francese porta il celebre esempio della pasta Panzani (molto più gettonata in Francia che in Italia). Descrive l'illustrazione su stampa dei prodotti dell'azienda, in particolare questo scatto:
Non essendo uno specialista di linguaggi visivi, Barthes pone al centro della sua analisi il linguaggio verbale, che considera interpretante supremo di ogni sistema. L'uso dello stereotipo consiste, secondo lui, nel piano dell'espressione verbale "pasta, sughi, parmigiano italiano di lusso", correlabile alla dimensione semantica e culturale del messaggio. Tutto ciò che riguarda invece il piano dell'espressione visivo, quello che con Greimas chiamiamo significante plastico, riguarderebbe una dimensione percettiva non influente sul piano del contenuto. Il Gruppo mu (1992) contesterà più tardi questa posizione, rivendicando il ruolo del linguaggio plastico e figurativo nella costruzione della semantica dei messaggi.
A dispetto di queste mancanze, giustificabili con il fatto che quando Barthes scrive, nel 1964, i tempi non sono ancora maturi per una vera e propria retorica del visivo (Migliore 2018), molte osservazioni dell'articolo sono degne di nota. Il semiologo francese evidenzia la presenza della