L'idea della crociata nel Seicento: da Torquato Tasso a Paolo Finoglio

Pdf dall'Università sull'idea della crociata nel Seicento: da Torquato Tasso a Paolo Finoglio. Il Materiale di Storia per l'Università, scritto da Vito Bianchi, esplora l'evoluzione del concetto di crociata, i rapporti tra cristiani e musulmani e la fluidità delle identità religiose e culturali.

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10 pagine

STORIA PER IL TURISMO
L’idea della crociata in una corte del Seicento:
da Torquato Tasso a Paolo Finoglio
di Vito Bianchi
Quel maledetto venerdì, chi lo ricordava più? La cosiddetta prima crociata era nata come
un pellegrinaggio: in armi, ma pur sempre un pellegrinaggio. Via via che le decine di
migliaia di uomini, donne e fanciulli si erano però spostati dall’Europa fino alla Siria, al
Libano e alla Palestina, l’arroganza dei comandanti, l’avidità, la brama di terre e popoli da
dominare avevano trasformato il pellegrinaggio in guerra di conquista. Nel Vicino Oriente
era stata esportata violenza allo stato puro, primordiale. Il continente europeo si era così
sgravato di cavalieri predoni e turbolenti: il che aveva finito per rafforzare i poteri di
sovrani senza più concorrenti, senza più scocciature. Oltremare, nuove terre sarebbero
state trovate, per chi ne avesse desiderato. E al culmine dell’impresa, quel venerdì 15 luglio
1099, con la conquista cristiana di Gerusalemme, il fervore religioso s’era trasformato in
ferocia.
Non che fossero mancate sin dall’inizio le violenze insensate, gratuite, brutali: alla
partenza dalle contrade tedesche della Lorena, i contingenti infervorati dei crociati
avevano infierito crudelmente contro gli ebrei di Colonia, di Neuss, di Magonza e di altre
località, facendone strage, giacché quello era il modo giusto di cominciare la spedizione,
quello era ciò che i nemici della fede meritavano: “… e gli ebrei ci racconta il cronista
Alberto d’Aquisgrana nella Historia Hierosolymitana vedendo che i cristiani non
risparmiavano nemmeno i piccoli e non avevano pietà per nessuno, si gettarono essi stessi
sui fratelli, sulle donne, sulle madri, sulle sorelle e si uccisero vicendevolmente. E la cosa
più straziante fu che le stesse madri tagliavano la gola ai figli lattanti oppure li
trapassavano, preferendo che essi morissero per loro propria mano piuttosto che uccisi
dalle armi degli incirconcisi”. Così era cominciata la cosiddetta prima crociata. Così era,
appunto, culminata: un’orda di guerrieri armati e di pellegrini originariamente semi-
inermi, esasperati dall’aria bruciata, e dalla sete, e dalla polvere, e dagli alberi che non
c’erano a rendere un minimo d’ombra, e dall’attesa di settimane in quell’inferno, dal senso
di colpa per gli atti di cannibalismo, ebbene, quella massa di corpi che trasudavano rabbia,
odio e disperazione era riuscita a superare dal lato settentrionale la cinta muraria di
Gerusalemme, dopo avervi appoggiato un enorme torrione in legno, gemello dell’altra torre
che, sul versante meridionale, dalla parte del Monte Sion, aveva invece stentato a imporre
l’impeto delle milizie cristiano-occidentali.
La furia s’era fatta cieca: dilagando fra strade, moschee, locande, case e botteghe, i cruce
signati, sentendosi legittimati dalla loro croce in stoffa rossa ricamata o cucita addosso,
avevano massacrato quasi tutti gli abitanti musulmani ed ebrei: e se il governatore locale,
Iftikhar ad-Dawla, alla vigilia dell’assedio, non avesse espulso dalla città i cristiano-
orientali, di cui non si fidava, anch’essi avrebbero fatto la stessa fine, dal momento che gli
Europei non li avrebbero riconosciuti, e di sicuro non sarebbero andati per il sottile. I
conquistatori erano debordati dalla Porta di Erode e avevano travolto tutto e tutti sino alla
Spianata delle Moschee, dove si trovava la Cupola della Roccia, dove si era raccolta la gente
in fuga, e dove la tragedia, concentrandosi, addensandosi, s’era fatta ancor più spaventosa:
per incedere nell’area sacra era stato necessario aprirsi la strada fra i cadaveri mutilati e il
sangue che arrivava fino alle ginocchia. Era stata tradita l’anima di Gerusalemme, il cui
etimo discenderebbe, secondo alcuni, da jireh, che vuol dire “egli vede”, e shalem, che vuol
dire pace”: “che possa vedere la pace”, sarebbe il significato. Ma la pace era sfuggita di
nuovo, liquida, scivolando fra le mani senza che la si potesse afferrare.
La Città Santa, che gli Arabi avevano conquistato nel 638, resterà cattolica per meno di
novant’anni: dal 1187, con la battaglia di Hattin, il curdo Salah ad-Din, il Saladino delle
fonti occidentali, vi ripristinerà il controllo musulmano. Un controllo che, pur
nell’alternarsi delle dinastie dei Fatimidi, degli Ayyubidi, dei Mamelucchi e degli Ottomani,
di fatto lascerà Gerusalemme sotto l’egida islamica fino al XX secolo e alla dissoluzione
dell’impero turco: l’11 dicembre 1917, insieme agli Inglesi, entreranno nella città,
abbandonata dalle truppe ottomane, 300 bersaglieri dalla Libia italiana e 100 carabinieri
dall’Italia. Sino ad allora, Gerusalemme sarà sempre gestita da autorità di fede islamica, se
si eccettua un decennio di pertinenza cristiano-occidentale, susseguente agli accordi
diplomatici del 1229 fra l’imperatore Federico II di Svevia e il sultano al-Kamil.
Nella valle di Giosafat
Ad ogni buon conto, la riconquista islamica della Terrasanta non impedirà che
continuino i commerci che perseverino i pellegrinaggi: anche con la dominazione
musulmana si sarebbero riversate in Palestina frotte di pellegrini che avrebbero visitato
liberamente i Luoghi di Cristo, e magari si sarebbero prenotati un posto nella Valle di
Giosafat, quella dove si riteneva che sarebbe stato celebrato il Giudizio Universale. Chi vi
perveniva, di solito contrassegnava la propria postazione con un’incisione su una roccia,
con un segnacolo in pietra, con un mucchietto di sassi: servivano a occupare un punto

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Anteprima

L'idea della crociata nel Seicento

L'idea della crociata in una corte del Seicento: da Torquato Tasso a Paolo Finoglio di Vito Bianchi

Quel maledetto venerdì, chi lo ricordava più? La cosiddetta prima crociata era nata come un pellegrinaggio: in armi, ma pur sempre un pellegrinaggio. Via via che le decine di migliaia di uomini, donne e fanciulli si erano però spostati dall'Europa fino alla Siria, al Libano e alla Palestina, l'arroganza dei comandanti, l'avidità, la brama di terre e popoli da dominare avevano trasformato il pellegrinaggio in guerra di conquista. Nel Vicino Oriente era stata esportata violenza allo stato puro, primordiale. Il continente europeo si era così sgravato di cavalieri predoni e turbolenti: il che aveva finito per rafforzare i poteri di sovrani senza più concorrenti, senza più scocciature. Oltremare, nuove terre sarebbero state trovate, per chi ne avesse desiderato. E al culmine dell'impresa, quel venerdì 15 luglio 1099, con la conquista cristiana di Gerusalemme, il fervore religioso s'era trasformato in ferocia.

Non che fossero mancate sin dall'inizio le violenze insensate, gratuite, brutali: alla partenza dalle contrade tedesche della Lorena, i contingenti infervorati dei crociati avevano infierito crudelmente contro gli ebrei di Colonia, di Neuss, di Magonza e di altre località, facendone strage, giacché quello era il modo giusto di cominciare la spedizione, quello era ciò che i nemici della fede meritavano: " ... e gli ebrei - ci racconta il cronista Alberto d'Aquisgrana nella Historia Hierosolymitana - vedendo che i cristiani non risparmiavano nemmeno i piccoli e non avevano pietà per nessuno, si gettarono essi stessi sui fratelli, sulle donne, sulle madri, sulle sorelle e si uccisero vicendevolmente. E la cosa più straziante fu che le stesse madri tagliavano la gola ai figli lattanti oppure li trapassavano, preferendo che essi morissero per loro propria mano piuttosto che uccisi dalle armi degli incirconcisi". Così era cominciata la cosiddetta prima crociata. Così era, appunto, culminata: un'orda di guerrieri armati e di pellegrini originariamente semi- inermi, esasperati dall'aria bruciata, e dalla sete, e dalla polvere, e dagli alberi che non c'erano a rendere un minimo d'ombra, e dall'attesa di settimane in quell'inferno, dal senso di colpa per gli atti di cannibalismo, ebbene, quella massa di corpi che trasudavano rabbia, odio e disperazione era riuscita a superare dal lato settentrionale la cinta muraria di Gerusalemme, dopo avervi appoggiato un enorme torrione in legno, gemello dell'altra torreche, sul versante meridionale, dalla parte del Monte Sion, aveva invece stentato a imporre l'impeto delle milizie cristiano-occidentali.

La furia s'era fatta cieca: dilagando fra strade, moschee, locande, case e botteghe, i cruce signati, sentendosi legittimati dalla loro croce in stoffa rossa ricamata o cucita addosso, avevano massacrato quasi tutti gli abitanti musulmani ed ebrei: e se il governatore locale, Iftikhar ad-Dawla, alla vigilia dell'assedio, non avesse espulso dalla città i cristiano- orientali, di cui non si fidava, anch'essi avrebbero fatto la stessa fine, dal momento che gli Europei non li avrebbero riconosciuti, e di sicuro non sarebbero andati per il sottile. I conquistatori erano debordati dalla Porta di Erode e avevano travolto tutto e tutti sino alla Spianata delle Moschee, dove si trovava la Cupola della Roccia, dove si era raccolta la gente in fuga, e dove la tragedia, concentrandosi, addensandosi, s'era fatta ancor più spaventosa: per incedere nell'area sacra era stato necessario aprirsi la strada fra i cadaveri mutilati e il sangue che arrivava fino alle ginocchia. Era stata tradita l'anima di Gerusalemme, il cui etimo discenderebbe, secondo alcuni, da jireh, che vuol dire "egli vede", e shalem, che vuol dire "pace": "che possa vedere la pace", sarebbe il significato. Ma la pace era sfuggita di nuovo, liquida, scivolando fra le mani senza che la si potesse afferrare.

La Città Santa, che gli Arabi avevano conquistato nel 638, resterà cattolica per meno di novant'anni: dal 1187, con la battaglia di Hattin, il curdo Salah ad-Din, il Saladino delle fonti occidentali, vi ripristinerà il controllo musulmano. Un controllo che, pur nell'alternarsi delle dinastie dei Fatimidi, degli Ayyubidi, dei Mamelucchi e degli Ottomani, di fatto lascerà Gerusalemme sotto l'egida islamica fino al XX secolo e alla dissoluzione dell'impero turco: l'11 dicembre 1917, insieme agli Inglesi, entreranno nella città, abbandonata dalle truppe ottomane, 300 bersaglieri dalla Libia italiana e 100 carabinieri dall'Italia. Sino ad allora, Gerusalemme sarà sempre gestita da autorità di fede islamica, se si eccettua un decennio di pertinenza cristiano-occidentale, susseguente agli accordi diplomatici del 1229 fra l'imperatore Federico II di Svevia e il sultano al-Kamil.

La Valle di Giosafat

Nella valle di Giosafat

Ad ogni buon conto, la riconquista islamica della Terrasanta non impedirà né che continuino i commerci né che perseverino i pellegrinaggi: anche con la dominazione musulmana si sarebbero riversate in Palestina frotte di pellegrini che avrebbero visitato liberamente i Luoghi di Cristo, e magari si sarebbero prenotati un posto nella Valle di Giosafat, quella dove si riteneva che sarebbe stato celebrato il Giudizio Universale. Chi vi perveniva, di solito contrassegnava la propria postazione con un'incisione su una roccia, con un segnacolo in pietra, con un mucchietto di sassi: servivano a occupare un puntospecifico, preventivamente, per paura di non trovarne nel giorno ultimo, nell'ossessione di assicurarsi un personalissimo spazio nel luogo in cui sarebbero confluite tutte le genti vissute sulla Terra dalla notte dei tempi, migliaia e migliaia d'anni d'umanità, milioni e milioni di individui ad affollare una vallecola che, agli occhi dei fedeli, in previsione della calca che si sarebbe creata alla fine del mondo, di sicuro non appariva troppo ampia. Peraltro c'era chi lasciava dei "segna-posto" molto originali: messer Dolcibene de' Tori, un giullare, musicista e poeta fiorentino, incoronato re dei buffoni e degli istrioni d'Italia dall'imperatore Carlo IV di Boemia, aveva raggiunto la Valle di Josaphat intorno al 1349 in compagnia di Galeotto Malatesta e Malatesta Unghero, signori di Rimini. Alla vista della vallata " ... messer Dolcibene scese da cavallo e corre nel mezzo d'un campo della detta valle e, calatisi i pantaloni di gamba, lasciò andare il mestiere del corpo dicendo: - Io voglio pigliare il luogo, acciò che quando serà quel tempo, io truovi il segno e non affoghi nella calca - ... ".

Insomma, nel XIV secolo il possesso cristiano di Gerusalemme non era più così fondamentale. La stessa direzione che avevano preso le crociate era sintomatica: nel 1202- 1204 la spedizione era stata ad esempio deviata al saccheggio di Costantinopoli, che pure era capitale dell'impero romano d'Oriente: una città greco-ortodossa, ma comunque cristiana, che dei sedicenti cristiani non avevano esitato a devastare. E un serio colpo all'ideale della "liberazione" di Gerusalemme era stato inferto da papa Bonifacio VIII con l'istituzione nel 1300 del primo Giubileo, che aveva concesso a tutti i fedeli che si fossero recati a Roma la stessa indulgenza plenaria fino ad allora riservata ai crociati.

Certo, si sarebbero fatte ancora molte crociate, continuando a proclamare che il loro fine ultimo e più autentico fosse la riconquista della Terrasanta. Ma in realtà esse avrebbero avuto altre mete e altri scopi. Altri fattori politici e altri attori, cangianti di volta in volta, dal Medioevo all'età moderna, in un caleidoscopio di personaggi, guerre, tradimenti, alleanze, armistizi, spionaggi, abiure, vendette, egoismi. Il senso del pellegrinaggio armato, insito nella prima e ultima conquista cristiana di Gerusalemme del 1099, s'era insomma sempre più smarrito. E il filo non era stato ritrovato nemmeno quando i rappresentanti dell'universo musulmano si erano portati al contrattacco: la caduta di Bisanzio in mani turche nel 1453 aveva legittimato l'aspirazione all'egemonia euro-mediterranea del sultano Maometto II detto il Conquistatore, che s'era insediato sul trono dell'imperatore romano d'Oriente e s'era messo in testa di poter riunificare i domini dell'antica Roma riappropriandosi della Città Eterna, della città del papa, come un Cesare che agiva all'incontrario rispetto a quanto era avvenuto in passato, muovendo cioè da Levante a Occidente. Il papato, in quei momenti, aveva continuato a predicare con forza le crociate.Ma a Quattrocento inoltrato la crociata aveva perso - se mai ne avesse davvero posseduto - ogni valore storico-escatologico, essendo sempre più sorretta da valutazioni di realismo politico e militare. L'unico pathos le era provenuto dal tema della difesa della cristianità rispetto alla minaccia turca, propagandata come potenzialmente mortale. E la salvezza della comune "casa cristiana" era stato il collante che i papi avevano tentato di utilizzare per smuovere le coscienze dei regnanti occidentali, per unificarne le forze ed esorcizzare le angosce che in Occidente montavano ogni qualvolta i Turchi si appropriavano di un'altra porzione d'Europa.

Per la verità, alcuni condottieri balcanici, che si battevano animati comunque da ambizioni personali, come Giovanni Hunyadi, Stefano di Moldavia, Giorgio Castriota Scanderbeg o lo stesso Vlad III, detto Țepes, l'Impalatore, meglio conosciuto come Dracula, avevano innalzato la croce in battaglia e, con tattiche di guerriglia, avevano per qualche tempo frenato lo slancio turco. Ma dopo che questi capitani d'oltre Adriatico erano stati spazzati via, il terrore: nel 1480, con la conquista turca di Otranto, i giannizzeri avevano messo piede in Italia, nel "giardino di casa" del papa, pronti a dirigere su Roma: e nel conflitto aveva trovato la morte anche Giulio Antonio Acquaviva, antenato dei conti di Conversano, un capitano coraggioso fino all'imprudenza, che s'era lasciato attirare dai Turchi in un'imboscata per lui fatale. L'avanzata turca sarà arrestata in quella circostanza dal dilagare della peste, che prostrerà gli eserciti, e dall'improvvisa morte del sultano Maometto il Conquistatore, che priverà gli Ottomani di una guida. Ma la pausa risulterà abbastanza breve.

Carlo V e Solimano il Magnifico

Col XVI secolo, fra Balcani e Mediterraneo proseguirà la lotta per l'egemonia che coinvolgerà due distinti blocchi politici: da una parte ci sarà il sultanato turco, coi suoi obiettivi di dominio universale, orientato a contemperare una società multietnica, multireligiosa e multiculturale, abbattendo i muri dei nazionalismi; dall'altra un'Europa cristiana dove i confini invece tendevano a soprelevarsi, tanto nella dimensione statuale quanto in quella religiosa, con le inesauste trame dei principi europei, vogliosi di ricavarsi spazi di autonomia sempre più ampi a scapito dei concorrenti, e con la riforma luterana, che stava portando all'emancipazione di un cristianesimo protestante, certamente più "mitteleuropeo", da un cattolicesimo romano, più "mediterraneo".

In queste fasi, nella prima metà del Cinquecento, la sovranità dell'imperatore Carlo V (1520-1556) - che si nutriva del fresco colonialismo d'oltre Oceano e che dalla Spagna si spingeva a controllare corpose porzioni delle aree centro-europee - per lunghi tratti

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