Documento di appunti universitari sulla didattica speciale: approccio metacognitivo e cooperativo. Il Pdf esplora la didattica speciale, la metacognizione e la memoria, analizzando come questi concetti influenzino l'apprendimento in Psicologia.
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Decodificazione del titolo dell'insegnamento Didattica [dal gr. διδακτικός «atto a istruire», der. di διδάσκω «insegnare»] Con il termine didattica indichiamo la teoria educativa e le attività connesse ai metodi di insegnamento, riflettendo sulla relazione tra insegnare e apprendere all'interno di un contesto. L'obiettivo che sottende questa indagine è di ottimizzare i percorsi formativi, alla ricerca di metodi, di strategie e di strumenti che facilitino il processo educativo.
Declinando la didattica come didattica speciale si cerca di affinare il campo d'azione della didattica "generale" calibrandola sui bisogni dei singoli studenti (siano essi di natura biologica, psicologica o sociale). Con questa accezione, la didattica comincia a interrogarsi sulle differenze e sulla possibilità di creare percorsi personalizzati in modo da non lasciare nessuno escluso. Ciò non significa una didattica che tenga in conto solo i bisogni degli studenti con disabilità ma ogni singolo studente con le sue peculiarità. Quindi una didattica non più generalizzata ma personalizzata, rendendola, al tempo stesso, più inclusiva.
La didattica speciale è figlia della pedagogia speciale, la cui nascita risale a Jean Marie Itard, un pedagogista francese del XIX secolo che diede un grande contributo all'educabilità della persona anche in presenza di forti disabilità e dell'importanza della mediazione sociale nella crescita psicofisica della persona. Emblematico l'esempio del "selvaggio dell'Aveyron", un bambino che aveva apparentemente dodici anni, incapace di parlare, trovato solo e nudo nella boscaglia dell'Aveyron, attraverso cui Itard (1775-1838) dimostrò, contrariamente a quello che sosteneva Pinel, che il lavoro educativo potesse risolvere o recuperare in parte quei deficit funzionali e non organici che la mancanza di uso o stimolazione, e perfino la mancanza di una restituzione significativa da parte di un adulto aveva assopito.
È una parola ponte tra psicologia e pedagogia, dando vita a varie interpretazioni. L'etimologia greca ci permette di avere un'iniziale comprensione della parola, la quale è composta da meta (ustá), cioè oltre, al di là, e cognizione (ylyvóoko: conosco, comprendo, capisco), dunque oltre la cognizione. Per comprenderne appieno il significato bisogna definire innanzitutto la parola cognizione, ossia la capacità della mente umana di conoscere il mondo, se stessi e gli altri. Il termine cognizione rientra nel campo della Teoria della Mente (Theory of Mind1). La mente, per poter conoscere ciò che ha attorno a sé, utilizza quelle che potremmo definire delle facoltà, le quali sono essenziali alla cognizione. Tra le facoltà conoscitive abbiamo: la percezione sensoriale, ossia la capacità di organizzare le informazioni che provengono dai cinque sensi (importante anche la percezione senso-motoria che ci permette di avere informazioni dal movimento, e dunque di percepire noi stessi nello spazio e nel tempo); la memoria; il linguaggio. Possiamo dunque definire la metacognizione come la capacità di riflettere sui nostri processi mentali per poterli governare al meglio, quindi non solo ci permette di conoscere i nostri processi mentali ma anche di organizzarli in maniera consapevole.
1 Con la Teoria della Mente ci riferiamo a un'abilità psicologica fondamentale per la vita sociale: la capacità di capire e prevedere il comportamento sulla base della comprensione degli stati mentali (intenzioni, emozioni, desideri, credenze) propri e altrui. 1La memoria è fondamentale per la specie umana, la quale non si sarebbe mai emancipata dalla condizione animale senza di essa. Naturalmente anche gli animali hanno una memoria, ma una memoria di istintuale o potremmo definirla automatica. Una memoria che consente l'adattamento e la sopravvivenza. La differenza è che nella memoria umana, oltre alla memoria automatica, troviamo una memoria attiva o cognitiva che ha permesso alla specie di progredire (pensiamo al linguaggio, l'arte, la musica, la tecnologia, la scienza, ecc., non si sarebbero potute sviluppare le arti senza memoria attiva). Non a caso la divinità greca più importante era Mnemosine (Mvnuooúvn, Mnemosyne), la personificazione mitologica della memoria e madre delle nove muse, cioè divinità protettrici delle arti. Per comprendere meglio la differenza tra memoria automatica e memoria attiva bisogna far riferimento al sempre più dilagante uso della parola apprendimento al posto di educazione e formazione. L'uso si è diffuso a partire dai lavori di uno psicologo in particolare: Skinner (siamo negli anni Trenta, negli Stati Uniti, tra le due guerre) che, attraverso una serie di esperimenti, ha formulato la sua teoria dell'apprendimento basata sul comportamentismo (o behaviorismo). Il termine apprendimento viene usato come analogo a quello di educazione ma in realtà sono diversissime.
Skinner e Pavlov furono entrambi di matrice comportamentista, il primo fece degli esperimenti sui topi, nel celebre esperimento denominato Skinner box, il quale consisteva nell'osservazione del comportamento di un topo all'interno di una gabbia, nella quale era presente una leva che quando veniva azionata rilasciava del cibo; Skinner osservò che all'inizio il topo tendeva a girare casualmente per osservare l'ambiente fino a quando, casualmente, non azionava la leva e otteneva il cibo. La prima volta il topo non è consapevole della connessione tra leva e cibo, ma dopo vari tentativi comprende la connessione e cerca intenzionalmente la leva con cui otterrà il cibo. Così nasce il concetto di rinforzo, ossia il processo con cui uno stimolo viene rafforzato, aumentando la probabilità che il comportamento che ne deriva venga ripetuto. È per questo che Skinner è considerato il padre del condizionamento operante, il quale rappresenta il meccanismo in cui avviene la modificazione di un comportamento attraverso l'uso di rinforzi. Questo tipo di condizionamento si differenzia da quello definito classico, studiato da Pavlov, e che si basava su uno schema di stimolo- risposta. L'esperimento di Pavlov dimostrava l'emissione di una risposta naturale in presenza di uno stimolo non naturale come nel caso dell'esperimento sul cane, il quale condizionato per diverse volte attraverso l'associazione di un suono che veniva emesso immediatamente prima del momento in cui il cane riceveva del cibo, giungeva a salivare anche con il solo suono del campanello, senza che venisse fornito alcun cibo. La teoria comportamentista è entrata nella teoria dell'educazione, traducendola in un aumento di stimoli: più stimoli vengono forniti durante la lezione, più sarà possibile l'apprendimento. Il rischio dietro a questo genere di paradigma è che l'apprendimento si trasformi in un apprendimento automatico che privilegia la ripetizione a memoria o l'uso indiscriminato di mappe concettuali. Ciò significa che la memoria non è più esercitata attivamente ma come un riflesso condizionato. Per questo motivo non si può parlare di apprendimento come sinonimo di educazione, poiché la memoria, nell'apprendimento, diventa passiva. Sebbene la memoria passiva ci risulti utile in diversi campi della vita, non si può pensare di dare vita a creazioni spirituali, scientifici o persino sentimentali attraverso l'uso di una memoria passiva, poiché viene meno l'aspetto creativo. In questo la parola ricordo ci esemplifica la differenza tra memoria attiva e passiva: il ricordo, da ricordare [lat. recordari, der., col pref. re-, di cor cordis «cuore», perché il cuore era ritenuto la sede della memoria], ossia riportare nel cuore, rimettere nel cuore, ha alla base un'idea greca: pensiamo alla divinità della memoria che, per i greci, era associata alla dea Lete (gr. Ań9n), la quale rappresentava il fiume della «dimenticanza» nell'oltretomba a cui dovevano abbeverarsi le anime. Ne deriva l'idea che la memoria non è un magazzino dove accumulare in maniera indiscriminata ma un luogo dove abbiamo la possibilità di ricordare e al tempo stesso anche la libertà di dimenticare, come succede nei casi di eventi particolarmente dolorosi che vengono rimossi dalla nostra memoria.
2Chomsky è un'importante linguista, riconosciuto come il fondatore della grammatica generativo- trasformazionale, e precursore dell'intelligenza artificiale. Nel testo, Il mistero del linguaggio, riflette su cosa sia il linguaggio e su quali siano le caratteristiche specifiche di questo codice di comunicazione che permette a qualsiasi persona di generare un insieme potenzialmente infinito di espressioni (frasi) a partire da un numero limitato di elementi (parole); infine si chiede se sia possibile ripercorrere l'evoluzione di questo linguaggio. In realtà esiste un modo in cui si può assistere alla nascita del linguaggio, ciò avviene grazie ai bambini. Mentre crescono vediamo come nei bambini nasce e si struttura il linguaggio.
Gli studiosi del linguaggio sostengono che ci sia un rapporto fra filogenesi e ontogenesi: ogni bambino nasce con un'eredità di trecento mila anni, di conseguenza ogni bambino, in alcuni gesti e nella strutturazione del linguaggio, ripercorre esattamente il percorso evolutivo della specie umana.
Nella storia evolutiva della specie umana, duecento mila anni fa si è conclusa la fase evolutiva homo sapiens, una fase universale. Alcuni sensi che erano basilari durante la fase in cui era quadrupede si sono sostituiti specializzandosi in sensi più adeguati alla posizione eretta e all'adattamento, allo stesso tempo si sono persi gli aspetti non più necessari all'adattamento (per esempio, la coda), e ci fu la grande evoluzione della mano: grazie alla conquista della posizione eretta, la mano iniziò a prendere la pietra, a lavorare i metalli, a scrivere (la scrittura è comparsa tardi nel processo evolutivo). Questo processo evolutivo è privo di identità, sedimentandosi in una memoria arcaica che si crede si sia depositata nella parte posteriore del cervello (noi lo possiamo osservare nei bambini che ripetono dei gesti innati che sono uguali in tutta la specie).
Il bambino impara a conquistare la posizione eretta tramite tentativi ed errori (trial and error), cadendo e rialzandosi. Altri gesti della specie rimangono impressi nei giochi amati dai bambini come correre, saltare, arrampicarsi: sono tutti gesti primordiali che la specie umana ha compiuto nel percorso di adattamento. Se i bambini dovessero dimenticare questi giochi, la mente si impoverirebbe poiché sono tutti gesti che hanno permesso l'evoluzione e l'adattamento e che si sono conservati nei giochi senso-motori che ci hanno permesso di sviluppare alcune qualità come l'orientamento.
Il docente fu, nella storia dell'inclusione, espressione di una battaglia morale ed educativa, ispirando una serie di leggi. La prima difficoltà incontrata era su come nominare questi studenti. Con il cambiare dei nomi, cambiava anche l'organizzazione della scuola. Alla fine dell'Ottocento fino alla seconda guerra mondiale, i bambini fragili venivano chiamati deficienti, giustificando il termine come "qualcuno che non ha". Particolarmente importante fu la figura di Maria Montessori, medico e scienziata, rinunciò agli studi medici per occuparsi dei bambini denominati "deficienti" ma anche dei bambini poveri. La sua grande scommessa fu di dimostrare come anche questi bambini potessero trarre il massimo del potenziale umano. Fondò la prima Casa dei Bambini a Roma nel 1907, adottando all'inizio un metodo diverso per i bambini con disabilità per poi adottarne uno che fosse unico per tutti i bambini, e quindi universale.
L'uso del termine "deficiente" considerava la condizione di quel studente come immutabile, nessun intervento educativo poteva migliorare la loro condizione (siamo tra la fine dell'Ottocento e i primi del Novecento). Gli unici istituti che accettavano questi studenti erano più di "cura" che di educazione, nei quali si prestava attenzione a questione della vita quotidiana come l'igiene personale. Possiamo fare un parallelismo tra l'atteggiamento della società verso quelli che allora erano denominati "deficienti" e l'atteggiamento nei confronti dei matti; coloro che venivano considerati matti venivano rinchiusi in luoghi segregati da cui era difficile uscire, soprattutto per i poveri. Lo psichiatra Franco Basaglia andò a visitare questi luoghi, trovando situazioni terrificanti, dove le persone subivano l'elettroshock, c'erano letti di contenzione e una presenza massiccia di psicofarmaci. Fu la legge Basaglia (L. 180/1978) a mettere fine ai manicomi e a istituire servizi di cura territoriale. 3